Ana Maria De Jesus Riberio nasce vicino alla città di Laguna, all’estremo Sud del Brasile, nello stato di Santa Caterina. È la terza di dieci figli. Riceve un’educazione elementare, ma dimostra sempre intuito e intelligenza. Sa cavalcare a pelo con una grande destrezza ed è anche una esperta nuotatrice. Alla morte prematura del padre, la famiglia Riberio cade in una estrema povertà ed è per avere meno bocche da sfamare che la madre cerca di accasare le figlie maggiori, ancora giovanissime. Anita sposa Manuel Giuseppe Duarte, un calzolaio, occasionalmente pescatore, conservatore e reazionario, all’età di 14 anni e si trasferisce a Laguna. Il matrimonio dura pochi, difficili, anni. Del marito di Anita non si sono mai avute notizie certe e si fanno molte ipotesi. Forse la più attendibile è quella avanzata da Gustavo Sacerdote, biografo di Giuseppe Garibaldi che, in un testo pubblicato nel 1933, sostiene che Duarte morì in un naufragio durante una battuta di pesca.
È l’anno 1839 e Garibaldi arriva con tre lancioni per prendere Laguna e costituire la Repubblica Juliana. Il Brasile si era reso indipendente dal Portogallo, ma le cose erano cambiate assai poco, il paese infatti è retto da un imperatore. Alcuni stati aspirano all’indipendenza, compreso quello di Santa Catarina. Garibaldi, sfuggito a chi lo aveva condannato a morte in contumacia per avere partecipato ai moti carbonari e per essere iscritto alla Giovane Italia di Mazzini, si era rifugiato in America Latina, prendendo subito parte a insurrezioni locali.
Questo il contesto storico-politico di quell’anno. Dalla sua nave Garibaldi scruta la terraferma con un cannocchiale e scorge un gruppo di ragazze che passeggiano lungo la riva. Fa calare una scialuppa per raggiungere e vedere da vicino quella che lo ha particolarmente colpito. Fu però la sera stessa che – nella casa in cui era stato invitato – incontra proprio la giovane che così tanto desiderava conoscere. Nelle sue memorie Garibaldi scrive che rimase fulminato dal suo aspetto e dalla sua personalità.
Quando riceve l’ordine di salpare, Anita vuole a tutti i costi imbarcarsi con lui.
È molto difficile, raccontando la storia di Anita, districarsi tra storia e leggenda. Al di là di ogni romantico racconto, Anita condivise veramente gli ideali politici del suo Josè, come lei lo chiama, e lo segue ovunque, nei pericoli e nelle battaglie. Tuttavia, pare che una forte motivazione sia stata anche quella della gelosia. Giuseppe e Anita si sposano quando viene accertata la morte del primo marito.
Nel 1840 le varie spinte secessioniste locali vengono definitivamente soppresse dal governo centrale e Garibaldi organizza la ritirata. Anita, che non è riuscita a scappare con lui, è però riuscita a sfondare l’assedio quando il suo cavallo viene abbattuto. È costretta ad arrendersi e, convinta che il suo Giuseppe sia morto, prega il nemico di poter cercare il corpo del marito tra i cadaveri nel campo di battaglia. Non lo trova, così decide di rubare un cavallo e – durante la notte – di tentare la fuga. Anita era incinta di sette mesi e, aggrappata alla coda di un cavallo, guada un fiume, affluente dell’Uruguay. Finalmente raggiunge la fazenda di San Simon, dove si ricongiunge con Garibaldi. È qui che nasce il primo figlio, che viene chiamato Menotti, in onore di Ciro, martire del Risorgimento. Ad appena dodici giorni dal parto, mentre Garibaldi è assente, una improvvisa incursione la costringe a un’altra fuga. Avvolge il piccolo Menotti in un fazzoletto che lega a una spalla e, stringendolo al seno, fugge a cavallo. Garibaldi la trova esausta al margine di una foresta. Anita e Giuseppe hanno una vita disseminata da pericoli, sacrifici e povertà, anche perché lui ha sempre rifiutato i compensi che i governi dei popoli da lui aiutati gli avevano spontaneamente offerto. Quando la piccola famiglia si trasferisce a Montevideo, in una piccola casa in affitto, nascono altri tre figli: Rosita, che porta il nome della nonna paterna e muore a due anni, Teresita, a cui viene dato il nome della sorella di Garibaldi, e Ricciotti, cognome di un collaboratore dei fratelli Bandiera.
Nel frattempo, in Italia, stanno maturando eventi nuovi e Garibaldi può essere di grande aiuto al suo amato paese. Decide di farsi precedere da Anita e dai bambini: Menotti ha sette anni, Teresita due e Ricciotti appena uno.
Si imbarcano il 27 dicembre del 1847 per raggiungere Nizza, dove li attende la nonna Rosa, madre di Giuseppe. Quattro mesi dopo parte anche Garibaldi, per partecipare agli eventi del 1848. Quando, nel 1849, fu proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, Garibaldi viene proposto come deputato. Anita potrebbe rimanere al sicuro a Nizza coi suoi figli, ma più volte decide di raggiungere il marito a Roma, mossa dalla condivisione degli stessi ideali, ma forse anche da quella gelosia che, a parere unanime dei biografi, la attanaglia.
L’ultimo viaggio – da Nizza a Roma – lo compie in giugno. Era incinta di quattro mesi e la Repubblica Romana era già ai suoi ultimi giorni, perché Pio IX aveva chiesto aiuto agli eserciti spagnolo, francese e borbonico.
Da un racconto di Alessandro Dumas, generale garibaldino, si apprende che Anita appare davanti a Garibaldi che, fra lo stupore, il dispiacere e la gioia di vederla in una circostanza così drammatica, la presenta con queste parole: «Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!».
Quando la Repubblica di Mazzini cade, Garibaldi e le sue camice rosse fuggono da Roma, Anita si taglia i lunghi capelli, si veste da uomo e parte a cavallo a fianco di Josè, che aveva pronunciato a Piazza San Pietro il famoso discorso passato alla storia: «… Io non offro né paga, né quattrini, né provvigioni, offro fame, sete, marce forzate e morte. Chi ha il nome d’Italia non solo sulle labbra ma nel cuore, mi segua». Queste parole erano rivolte fatalmente anche ad Anita. I soldati di cinque eserciti li seguono e l’intenzione di Garibaldi e della sua colonna è quella di raggiungere Venezia e sostenere la repubblica di Mazzini. Il generale e le sue truppe attraversano l’Appennino, trovando sempre sostegno nelle popolazioni. Molti avrebbero anche ospitato e curato Anita, che nel frattempo aveva contratto la malaria, cercando di convincerla a fermarsi, ma lei vuole proseguire. Molti sono i racconti, veri e romanzati, degli incontri che hanno durante la loro fuga. Si dice che in Romagna, non potendo più indossare abiti maschili per il suo stato di gravidanza, le viene offerto un abito chiamato “barnus”, dal termine arabo “burnus”, che i contadini – uomini e donne – usavano nei lavori di campagna. Garibaldi, Anita e 160 volontari raggiungono Cesenatico, dove si imbarcano, ma nei pressi di Goro iniziano dei cannoneggiamenti e sono costretti a sbarcare a Magnavacca, oggi Porto Garibaldi.
La fuga prosegue a piedi o con mezzi di fortuna, aiutati da cittadini di ogni estrazione sociale, in un territorio più sicuro, ma molto faticoso, attraverso zone vallive tra terra e acqua. Raggiungono la fattoria dei conti Guiccioli, presso Mandriole e qui vengono ospitati da Stefano Ravaglia, fattore del conte. Anita, ormai priva di conoscenza per la malattia e gli stenti, viene deposta su un letto dove muore poco dopo fra le braccia del suo Josè. Anita è morta in un luogo del tutto simile alla terra in cui è nata: una terra lagunosa, tra sabbia, specchi d’acqua e canneti.
Le circostanze drammatiche non permettono però a Garibaldi di rimanere a piangere la moglie e, sollecitato dal fedele capitano Leggero, deve ben presto riprendere la via della fuga. Alla morte drammatica segue un’altra tragedia. Per timore di essere scoperti come aiutanti di Garibaldi, i Ravaglia seppelliscono il suo corpo in un campo da pascolo chiamato Pastorara, dove viene scoperto da tre pastorelli. Seguono giorni di ricerche e di denunce. Il corpo della donna sconosciuta viene sepolto nel cimitero di Mandriole, per poi essere traslato all’interno della chiesa. Dopo dieci anni, al termine della II guerra di indipendenza, dopo il plebiscito per le annessioni delle terre di Romagna al Regno d’Italia, Garibaldi, coi figli Menotti e Teresita, giunge a Mandriole per ritirare le spoglie di Anita e trasferirle al cimitero di Nizza. I giorni della macchia sono lontani e il Generale, eroe di tante battaglie, viene ricevuto con grandi onori. Nizza non è però l’ultima dimora del corpo di Anita. Nel 1931 il governo italiano chiede il permesso al sindaco della città natale di Garibaldi di spostare i resti a Roma, al Gianicolo. Il monumento della sepoltura la rappresenta a cavallo col figlioletto al collo in atteggiamento di galoppo.
La vita di Anita fu brevissima, morì a soli 28 anni, ma conobbe i sentimenti più veri e più forti, visse una vita di rinunce e delusioni, ma ciò che scelse ripetutamente con determinazione e coraggio la rendono tutt’ora unica.
La terra dove è morta l’ha amata e la ama ancora profondamente. Ogni anno, il 4 di agosto, giorno della sua morte, nell’aia della fattoria Guiccioli, ora museo, si cantano le canzoni che parlano di lei e un gruppo di giovani vestiti da garibaldini con fucili ad avancarica, agli ordini di un ufficiale sparano a salve al grido: «In onore di Ana di Riberio Garibaldi!». In Romagna molte donne portano ancora il suo nome.
Menotti Garibaldi partecipa nel 1859 alla spedizione dei Mille. Riceve la Medaglia d’oro a Bezzecca nel 1866. È deputato per Velletri fino al 1900.
Ricciotti Garibaldi combatte a Bezzecca e a Mentana. Combatte anche a Domokos per la libertà della Grecia. I suoi figli, Bruno e Costante, cadono nella battaglia delle Argonne. Il figlio Sante muore a Dachau nel 1944. Il figlio Ezio diventa generale e viene decorato durante la prima guerra mondiale.
Teresita Garibaldi sposa un ufficiale garibaldino, Stefano Canzio, e avrà dodici figli.
Anita Garibaldi
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Isidoro Giuliani, Antonio Fogli, Anita Garibaldi. Vita e morte, Mandriole-Ravenna, edizioni Marcabò, 2001
G.E. Curatolo, Anita Garibaldi, Milano, F.lli Treves
Gustavo Sacerdote, La vita di Garibaldi, Milano, Rizzoli 1933
Documenti e testimonianze sono custoditi presso
l'Archivio Parrocchiale di Mandriole, il Museo di Mandriole
e la Raccolta Guerrini, nella Biblioteca Oriani di Ravenna
Graziella Gardini Pasini
È nata a Ravenna, città in cui tutt’ora vive. Si è sempre interessata dei problemi della città, in modo particolare dei beni ambientali e culturali.Per anni ha ricoperto la carica di Presidente dell’Accademia delle Belle Arti.Da molto tempo si interessa della cultura, della storia, dei costumi dei popoli Rom e Sinti, partecipando a raduni e collaborando con riviste specializzate.Ha pubblicato anche raccolte di canti popolari sociali e politici e in particolare di canti al femminile.
Da alcuni anni è titolare e curatrice del Museo Bambole e altri Balocchi nella sua città.