Anna Magnani

Roma 1908 - 1972
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Anna Magnani, di padre ignoto, era nata dalla diciottenne Marina, piccola sartina originaria di Fano, che si trasferì presto in Egitto lasciando la bambina alla propria madre. Da qui la leggenda, forse costruita da qualche press agentry, che fosse venuta al mondo in quella lontana terra africana. Voce smentita con forza da lei dopo che divenne regina incontrastata del neoralismo italiano.
Aveva telefonato d’impulso, come era nel suo carattere, al celebre critico, per aver letto in uno scritto a lei dedicato[1] che lei rifaceva “la femmina” (e magari la ragazzina) romana e che il suo “saporitissimo romanesco” era una “finzione sorniona”. Si era accorta in ritardo (e per questo si era scusata[2]) che il suo antico maestro in quell’articolo la definiva “creatrice di portenti”, pur dichiarando che “il verismo della solita Magnani scarmigliata” era lontano dalle proprie preferenze.
Talento naturale ma non improvvisato, Anna aveva frequentato il liceo, studiato otto anni il pianoforte al conservatorio di Santa Cecilia e due anni alla Scuola d’Arte Drammatica “Eleonora Duse” sfociata poi nell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica intitolata oggi a Silvio d’Amico. Al saggio del secondo anno venne notata da Dario Niccodemi, l’autore italiano più rappresentato negli anni Venti, che le propose di entrare nella sua Compagnia per sei mesi alla paga giornaliera di 25 lire. Il repertorio era vario, composto da novità (fu il primo a rappresentare i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello) e di esumazioni, molto presenti gli autori nazionali.
La fascinosa ed elegante Vera Vergani, primattrice e nome in ditta, prese sotto la sua ala la giovane Anna, gracile e impacciata ma dagli occhi espressivi.
Il nome della Magnani apparve per la prima volta sui giornali quando la Vergani interpretò a Milano, il 18 gennaio 1928, Maya di Gantillon. Nel 1930, ultimo anno in cui rimase nella Compagnia che vedeva ormai Elsa Merlini come primattrice, Anna si cimentò per la prima volta in una “fantasia musicale” molto vicina alla rivista: Triangoli di Dino Falconi e Oreste Biancoli. Nel costume disegnato da Giorgio Abkasi, che suggeriva una gardenia, fantasioso e molto basso sui fianchi, il suo piatto ventre con l’ombelico in mostra, mentre duettava parodisticamente (musica di Ermete Liberati) con Nino Besozzi-tulipano, suscitò l’attenzione del pubblico e risate.
Suso Cecchi d’Amico, sceneggiatrice di molti suoi film e amica, di lei aveva detto:«Come si fa a definire il [suo] fascino? Non era bella, spesso cupa come il suo cane lupo color dell’ebano. Aveva sempre le occhiaie, un colorito terreo e i capelli neri come non si può immaginare, della consistenza di una matassa di seta pesante. Le gambe erano magre e leggermente storte, era piccolina e forte di fianchi. Aveva un décolleté splendido, come pure lo erano le mani e i piedi. Dovunque entrasse e in scena, non guardavi altri che lei».
Lasciata la Compagnia Niccodemi, dopo una breve parentesi al Teatro degli Arcimboldi venne scritturata per la stagione 1931-32 nel ruolo di prima attrice giovane nella Almirante-Gandusio[3]. La Compagnia aveva un repertorio leggero di grande incontro. La Magnani nella rivista “satirico-sportiva” «Tifo!» al Politeama Chiarella di Torino il 18 maggio 1932 ottenne un successo strepitoso e tale da meritarsi la copertina de «Il Dramma» (luglio 1932), la rivista teatrale più letta all’epoca. Passata nell’ottobre in Compagnia Baghetti-Liberati, il suo nome si guadagnò il cartellone e le lettere cubitali. Il repertorio era formato in gran parte da pochades francesi. In una di queste, Youki di Felix Gandera, la Magnani interpretò una diva di varietà, personaggio che la seguirà spesso sullo schermo.
Dopo qualche partecipazione a film di scarso rilievo il 7 marzo 1935 tornò al teatro con la Compagnia Spettacoli Eliseo, specializzata nelle riviste e nella quale la grande attrazione erano i fratelli Guido e Giorgio De Rege, duo comico molto in voga per il “vieni avanti cretino”, rievocato più tardi da Walter Chiari e Carlo Campanini. Nello stesso mese Anna sposò Goffredo Alessandrini, elegante e famoso, nato al Cairo nel 1905 con studi a Cambridge e frequentazioni parigine. Nel 1936 il marito le concesse una piccola apparizione nel suo film Cavalleria, protagonisti Elsa Cegani e Amedeo Nazzari, pur se convinto che il naso della moglie avesse una linea troppo imperiosa per le esigenze dello schermo e lei fosse troppo vera per il cinema dei “telefoni bianchi” in voga allora in Italia. Amico di Vittorio Mussolini, Alessandrini era tenuto sotto osservazione dall’OVRA (la polizia segreta dell’Italia fascista), il che fruttò alla Magnani l’informativa n° 139 del 18 agosto 1939 quale fonte inconsapevole di pettegolezzi. Il matrimonio, ricco di scenate di gelosia per i tradimenti di lui, durò sino a quando sul set del suo film Il ponte di vetro, nel 1939, Alessandrini s’innamorò della giovanissima Regina Bianchi dalla quale avrà due figlie, che la Magnani gli impedirà di riconoscere, sebbene ormai anche lei avesse intrecciato una relazione con il ventitreenne Massimo Serrato, attor giovane all’apice della notorietà, dal quale avrà il figlio Luca, che verrà registrato all’anagrafe con il cognome di Alessandrini. Prenderà quello di Magnani dopo il divorzio della madre.
Dopo altri film di scarso rilievo l’attrice fu scritturata da Anton Giulio Bragaglia[4]. La Magnani sotto la sua regia interpretò il suo primo ruolo drammatico nella Foresta pietrificata di Robert Emmet Sherwwod andato in scena il 2 marzo 1938. «Vestita di lontananza», scrisse Alberto Savinio, «la Magnani è l’incarnazione della nostalgia: una nostalgia che arrivava a noi dal fondo dell’Arizona»[5].
Nell’estate l’attrice formò la Compagnia Elle con Annibale Betrone adattandosi a interpretare anche piccoli ruoli e guadagnadosi un piccolo richiamo da parte di Savinio sempre su «Omnibus»: «quanto alla signora Anna Magnani, le parti modeste non le si affanno (sic!). Dov’era la curva ad arco della sua bocca di Meleagro, dove la fulva fierezza della sua chioma leonina?… Sotto la bianca scuffia dell’infermiera, Anna la leonessa sembrava il sole che, prima di andare a letto, si fosse nascosto i raggi sotto la papalina». Era come un diploma di laurea ottenuto dopo anni e anni di apprendistato. Più tardi lei dichiarerà:
«Secondo me bisogna che colui il quale vuol diventare attore abbia il coraggio di fare il generico; di cominciare da “la signora è servita”; di esordire insomma dal gradino più basso. Questo tirocinio è utilissimo perché si compie davanti a un pubblico vero, a un pubblico che giudica senza riguardi. L’attore sente se gli spettatori lo seguono o non lo seguono, istintivamente si corregge, è costretto a studiarsi, impara. E impara anche osservando come si muovono e come parlano gli altri. Così si gettano le prime e vere basi di un attore. Confesso di parlare per esperienza personale, però sono certa che se molti di coloro che si dedicano al cinema compissero questo tirocinio se ne vedrebbero ben presto i risultati visibili e sensibili. La verità è che nessuno oggi ha il coraggio di guadagnare poco e di battere una strada faticosa e ingrata. Però è la sola che esista. Tutte le altre, scuole per attori comprese, non portano a nulla o danno scarsissimi risultati»[6].
L’anno successivo, tornata con Bragaglia al Teatro delle Arti, per la sua interpretazione di Anna Christie di O’Neill si guadagnò gli elogi incondizionati del suo antico maestro Silvio d’Amico: «Anna era la Magnani, che dette alla dolorosa creatura una maschera consunta e caldissima vibrazione d’accenti: i loro (con Carlo Tamberlani che interpretava Mat) contrasti furono pieni d’ardore, suscitarono consensi e lunghi applausi, anche a scena aperta»[7].
Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania e in alcune parti d’Italia cominciarono i bombardamenti. Le Compagnie di prosa e di rivista entrarono in grande difficoltà ma la Magnani nel 1941 ebbe la fortunata occasione offertale da Vittorio De Sica, al suo terzo film, di interpretare la parte di una canzonettista in Teresa Venerdì, suo primo ruolo cinematografico di un certo spessore, che le guadagnò l’attenzione della critica cinematografica. Massimo Bertarelli scrisse («Il Giornale», 26 settembre 2003) che Anna Magnani “col suo temperamento vulcanico” rubava quasi sempre la scena anche a De Sica. Luchino Visconti l’avrebbe voluta nel ruolo drammatico di protagonista in Ossessione ma lei era incinta e fu sostituita con Clara Calamai. Con la stagione 1941-42 aveva avuto inizio la felice collaborazione tra la Magnani e Totò. Ai loro spettacoli, dichiarò Elsa De Giorgi in un’intervista a Giancarlo Governi, il pubblico delirava e tanto erano trainanti che avrebbero potuto creare un partito, accendere una sommossa. La loro coppia fu sciolta dalla nascita di Luca il 23 ottobre 1942.
Nel 1943 la Magnani girò a Roma ben cinque film variando dalla donna di vita alla maniaca d’opera lirica e alla celebre attrice di varietà. In nessuno fu protagonista. In due si trovò a far coppia con Aldo Fabrizi che dopo il successo di Avanti c’è posto (regia di Marc Bonnard) poteva chiedere cifre enormi per il tempo di guerra. Ai primi di luglio l’esercito americano era sbarcato in Sicilia. Il 19 Roma subiva un feroce bombardamento. L’8 settembre fu reso noto l’armistizio. Il paese era diviso in due; in due terzi del paese si erano insediati i tedeschi che iniziarono l’opera di smantellamento degli stabilimenti cinematografici, sia pubblici che privati. Quanto si era riuscito a salvare fu trasferito a Venezia per riprendere là una normale attività. La guerra aveva interrotto la tradizione delle Compagnie di giro e gli attori venivano scritturati su piazza per brevi periodi. Negli ultimi mesi dell’occupazione tedesca di Roma la Magnani ritornò a lavorare con Totò[8].
Il 1945 fu un giro di boa importante per lei. Al primo Festival Internazionale del Cinematografo, del Teatro e della Musica diretto da Guido Salvini il 24 settembre, venne proiettato per la prima volta Roma città aperta di Roberto Rossellini, ispirato alle storie vere di Teresa Gullace uccisa da soldati nazisti durante l’occupazione di Roma mentre tentava di parlare al marito preso prigioniero e di don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti perché in contatto con la Resistenza[9]. Lei divenne l’icona del neorealismo. Moltissimi anni dopo, in un’intervista ad Enzo Biagi per «Il Corriere della sera», Aldo Fabrizi raccontò che la famosa caduta della Magnani mentre inseguiva il camion che le portava via il marito era stata casuale. Ci fu anche chi, malignamente, insinuò che in realtà lei cercava di raggiungere la macchina di Massimo Serato. La loro storia d’amore si era chiusa allora miseramente e il figlio Luca si era ammalato di poliomielite. Il film fu presentato fuori concorso nel 1946 al Festival di Cannes. La Magnani ebbe il Nastro d’argento come migliore attrice non protagonista. Era la prima volta che questo riconoscimento veniva attribuito dal Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici Italiani. Il suo urlo finale ispirò a Pier Paolo Pasolini i seguenti versi:

«Quasi emblema, in noi l’urlo della Magnani
sotto le ciocche disordinatamente assolute,
rinnova nelle disperate panoramiche,
e nelle occhiate vive e mute
si addensa il senso della tragedia».

L’amore tra la Magnani e Rossellini scoppiò a film terminato mentre, nell’agosto 1946, andavano in vagone letto al Festival di Venezia. Per il carattere impossibile, passionale ed estremo di lei, il legame fu molto litigioso sia in pubblico che in privato: «ma perché tutto questo? – dirà De Sica – Perché Anna aveva bisogno di dare, di dare, di dare. E riteneva di non riuscire a dare mai abbastanza e di non ricevere mai abbastanza»[10].
Dopo Roma città aperta la Magnani fu contesa dai registi cinematografici ma intanto andava in scena, il 24 novembre, al Teatro Eliseo, con una Compagnia tutta sua, in Maya, regia di Orazio Costa. Lo spettacolo, ad onta dei fischiatori, si chiuse con venti o venticinque chiamate. A giro di tamburo lei ripropose Anna Christie di Eugene O’Neill. Ad eccezione della Rivista Sono le dieci e tutto va bene di Garinei, Giovannini e Marcello Marchesi, in quell’anno e nei seguenti lei fu presente solo sul grande schermo. Erano film in gran parte ispirati alla storia recente, con una netta propensione al melodrammatico. Qualche critico non accettò che un’attrice ormai portata in palmo di mano anche dalla critica straniera partecipasse a film inutili e senza senso. Il 1947 la vide anche protagonista dell’Onorevole Angelina. La sceneggiatura portava la firma di Suso Cecchi d’Amico, Pietro Tellini e Luigi Zampa. Per la sua interpretazione ricevette al Festival di Venezia il Nastro d’Argento e la Coppa Volpi come migliore protagonista. Il film fu al 4° posto negli incassi della stagione ed ebbe un successo internazionale. Seguì l’anno dopo L’amore di Roberto Rossellini. Un “omaggio alla grande arte di Anna Magnani”, si leggeva nei titoli di testa, composto da due episodi. Del primo, Una voce umana, da La voix humaine di Jean Cocteau, la sceneggiatura era dello stesso Rossellini e si trattava sostanzialmente di un lungo monologo al telefono. Il soggetto del secondo, Il miracolo, era di Federico Fellini. Il film nell’agosto venne presentato al Festival di Venezia. Inevitabile Nastro d’argento. Un critico accreditatissimo per lei parlò addirittura di eccesso di bravura.
Il 20 febbraio 1949 il “Comitato di difesa del cinema italiano” indisse una manifestazione contro la nuova legge sul Cinema promossa da Giulio Andreotti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che gestiva allora le sovvenzioni e non amava il neorealismo. Il cinema, nonostante la sua promettente rinascita, vedeva avanzare l’invadenza straniera, particolarmente dei film americani e una censura sempre più sospettosa e incompetente. Il corteo con alla testa Giuseppe Di Vittorio e una rappresentanza della C.G.I.L. raggiunse Piazza del Popolo. Quando la Magnani salì sul palco a parlare fu accolta con il grido “Vogliamo l’onorevole Angelina”.
Il rapporto sentimentale tra lei e Rossellini, dopo tre anni, era diventato sempre più burrascoso. Nella vita di lui era entrata Ingrid Bergman che nel 1950 sposò e diresse in Stromboli. Come contraltare la Magnani interpretò Vulcano con Rossano Brazzi, uno dei più famosi “uomini fatali” del cinema italiano. Alla prima del film i giornalisti si volatilizzarono alla notizia che la svedese aveva partorito. La Magnani s’impegnò quell’anno in Camicie rosse, regista il marito Alessandrini dal quale si separerà legalmente solo il 29 settembre. Prenderà, in seguito, la cittadinanza di San Marino per poter divorziare. Nel 1951 fu diretta da Luchino Visconti in Bellissima. Il soggetto, di Cesare Zavattini, era stato praticamente pensato per lei. «La Magnani – dichiarò il regista – ha una recitazione piena d’istinto popolare, che non ha niente a che fare con il teatro di mestiere. Sa mettersi al livello degli altri, e in un certo modo sa portare gli altri al suo»[11]. Visconti avrebbe dovuto dirigerla anche nella Carrozza d’oro, poi litigò con la produzione italo-francese e fu sostituito da Jean Renoir, ma la guidò in un piccolo cammeo ambientato nella Roma del periodo bellico, in Siamo donne, film a episodi uscito nel 1953 che vedeva Ingrid Bergman, diretta da Rossellini, nella veste di giardiniera.
Quell’anno a New York venne presentato Bellissima con un’accoglienza eccezionale. Tennessee Williams era sempre più affascinato dall’attrice che gli aveva fatto sperare di interpretare al cinema la sua commedia La rosa tatuata. Nel dicembre la Magnani debuttò al Teatro del Casinò di Sanremo in Chi è di scena?, copione e regia di Michele Galdieri[12]. Nel 1955 uscì il film La rosa tatuata. Il regista Daniel Mann non era riuscito a migliorare il copione di Tennessee Williams, infarcito di tutti i luoghi comuni con cui gli americani etichettavano gli italiani. Nonostante questo la Magnani riempiva lo schermo con i suoi sguardi e soprattutto con i suoi silenzi arrivando ad oscurare lo stesso Burt Lancaster. Al film furono assegnati tre Oscar: miglior fotografia, miglior scenografia e miglior attrice protagonista (la prima italiana). La Magnani si aggiudicò anche il Golden Globe e il premio BAFTA dell’Accademia Britannica del cinema quale migliore attrice straniera. L’anno seguente Los Angeles le dedicò la famosa stella di Hollywood con il suo nome e il Festival di Venezia un altro Nastro d’argento per il film di Mario Camerini, Suor Letizia.
L’attrice continuava a ricevere proposte dall’America. Tennesee Williams l’avrebbe voluta protagonista con Marlon Brando a Broadway in Battle of Angels, moderna rielaborazione del mito di Orfeo, e ancora del musical Auntie Mame. Interpretò, invece, Selvaggio è il vento, regia di George Cukor. Con lei erano Antony Quinn e Antony Franciosa, allora marito di Shelley Winters. Con il secondo Anna intrecciò un’affettuosa amicizia. Il film non ottenne un grande successo. Sugli schermi italiani apparve solo nel settembre 1958. Povera e grande Magnani, scrisse qualcuno della nostra critica, costretta nei panni stretti di un personaggio convenzionale. Questo film le portò, comunque, una nomination all’Oscar, il BAFTA Film Award, il Davide di Donatello e l’Orso d’Argento a Berlino. Quell’anno l’attrice partecipò al film Nella città l’inferno, galleria di donne in un carcere romano, regia di Renato Castellani, sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico, che uscirà nel gennaio 1959. Durante la lavorazione i dissapori tra la Magnani e Giulietta Masina riempirono le pagine dei giornali. Il film trovò la critica in disaccordo ma unanimamente giudicò l’interpretazione della Magnani la migliore della sua carriera[13].
Nel 1959 Anna girò il suo terzo film americano, Pelle di serpente di Sidney Lumet, con Marlon Brando, fresco vincitore dell’Oscar come miglior attore protagonista per Il fronte del porto di Elia Kazan, e Joanne Woodward altro Oscar come miglior attrice. Brando a Tennesse Williams che gli chiedeva se la Magnani gli incutesse timore rispose di no. Riteneva che fosse una donna di una forza inusuale che non riusciva a trovare nessuno disposto a sopraffarla e in ciò trovava la sua sconfitta. Il che combaciava con quanto dichiarato da lei stessa a chi la riteneva difficile, piena di pretese, invadente. «Qualche volta può anche essere avvenuto ciò di cui mi si rimprovera perché mi sono trovata con gente che non aveva né preparazione, né forza morale e artistica per imporsi su di me, e mi sentivo più forte di loro». Pelle di serpente non fu il miglior film di Sidney Lumet e i due protagonisti non si intonavano tra loro ma la sequenza in cui lei gli descriveva la propria confetteria resta un pezzo di vera bravura.
Dopo la notorietà americana il cachet della Magnani era lievitato e questo probabilmente le impedirà di realizzare alcuni progetti, come una versione cinematografica di Madre Coraggio. Anche il Cinema era cambiato. Da una parte i registi “intellettuali” che pretendevano, secondo lei, di conoscere tutto e dall’altra il pubblico che rifiutava il dramma e pretendeva intrattenimento. Alla Magnani continuavano a proporre personaggi che secondo lei non erano “creature umane” ma “caricature, pupazzi imbecilli”[14].
Nel 1960 le offrirono di recitare nuovamente a fianco di Totò questa volta in un film tratto da due racconti di Alberto Moravia, Risate di gioia. Dovevano interpretare due squattrinate comparse di Cinecittà. Tra gli sceneggiatori lei ritrovò la sua antica amica Suso Cecchi d’Amico. La regia era di Mario Monicelli. La Magnani aveva allora 52 anni e, pur dichiarando che le sue rughe erano le sue medaglie, impose il velatino per sfumare i tratti del volto, non volle farsi una approssimativa tintura bionda ai capelli, come avrebbe richiesto il personaggio, ma pretese parrucche perfette e abiti di sartoria. Da qui continue tensioni tra lei e il regista. Il film non ebbe molto successo di pubblico ma la scena in cui lei e Totò cantavano “Geppina donna di fumo” riusciva a rendere anche tutta la nostalgia per un mondo, quello del Varietà, che non esisteva più.
Tramontato un progetto di fare un film con Rossellini, l’attrice convinse il produttore Alfredo Bini a farla lavorare con Pier Paolo Pasolini: era entusiasta del suo Accattone che aveva visto al Festival di Venezia del 1961. Le riprese di Mamma Roma iniziarono il 9 aprile 1962 con il set invaso dai fotografi. La sceneggiatura era rigorosissima ma Pasolini continuava ad indicare alla Magnani toni e sfumature delle sue battute, in più disegnava su fogli volanti ogni inquadratura.
L’attrice non si trovava con il suo metodo di lavoro che non le consentiva mai di recitare una scena per intero. Vi fu un momento in cui avrebbe voluto andarsene, perché, spiegò ad una delle sue più care amiche, Elsa De’ Giorgi, alludendo a Franco Citti e agli altri ragazzi, «quelli là vivono, io invece recito!»[15]. Mamma Roma al Festival di Venezia prese il premio della FICC (Federazione italiana dei Circoli del Cinema) ma non ottenne il plauso incondizionato della critica ufficiale. Molti ritennero che la mancata riuscita fosse la scelta della Magnani come protagonista. L’attrice riconobbe che il film era anche commercialmente sbagliato ma rifiutò di addossarsene la colpa. Alla fine della proiezione il pubblico veneziano aveva lasciato la sala fischiando Pasolini che fu anche denunciato da un colonnello dei carabinieri di “offesa al comune senso del pudore”. Purtroppo le manifestazioni contro il regista non si limitarono alle parole.
Erano ormai più di dieci anni che Anna Magnani non metteva piede su un palcoscenico quando Franco Zeffirelli le propose di interpretare prima Chi ha paura di Virginia Wolf?, che lei rifiutò, e poi La Lupa di Giovanni Verga che, invece, accettò. La prima avvenne al Teatro della Pergola di Firenze il 24 maggio 1965, nel quadro del Maggio Fiorentino. Ci fu chi scrisse che la Magnani aveva 20 anni di troppo per il ruolo della Gnà Pina, considerato canonico nella storia dell’erotismo nostrano. Eppure accanto a lei recitava Osvaldo Ruggeri (Nanni Lasca) di 20 anni più giovane che fu il suo ultimo amore conosciuto. Fu un vero trionfo, applausi oltre ogni immaginazione. Zeffirelli disse che la sua attrice era un caso unico che confortava il teatro italiano. Quella verità che si andava cercando a tutti i livelli la Magnani la offriva perché era il suo modo di essere in una dimensione che non era realistica perché recitava con un mestiere molto competente e un forte istinto professionale[16].
Non andò in porto il progetto di Zeffirelli per un Antonio e Cleopatra di Shakespeare con lei. Dall’America le arrivò una proposta favolosa per girare un film con Jerry Lewis e Tony Curtis ma preferì ancora il teatro, questa volta sotto la regia di Giancarlo Menotti. Medea di Jean Anouilh andò in scena al Teatro Quirino di Roma il 24 dicembre 1966 ma lo spettacolo non ebbe molto successo. La scenografia (e i costumi) di Rouben Ter Arutarian, enormi formazione basaltiche stratificate, ingombrava il palcoscenico. Lei fece il massimo, secondo Flaiano per dare a quella brava signora nei guai per l’incostanza del suo amante, una lupa retorica, invecchiata nel linguaggio, più petulante che aggressiva, una parvenza di tragica grandezza[17]. Una foto di Medea-Magnani con i figli, ricorda Adelaide Ristori nello stesso personaggio, tagliato su di lei da Ernest Legouvé.
Dopo sei anni di lontananza dallo schermo la Magnani si lasciò convincere dal regista Alfredo Giannini, cooproduttore con Silvia d’Amico, figlia di Suso, a girare alcuni mini-film per la televisione che volevano raccontare attraverso figure di donne le varie epoche della storia politica italiana rivivendo contemporaneamente le tappe dell’avventura artistica dell’attrice. Al fianco partner diversi: Enrico Maria Salerno, Massimo Ranieri, Vittorio Caprioli, Marcello Mastroianni. Il primo, La sciantosa, andò in onda il 26 ottobre 1971, il secondo, 1943: Un incontro, il 2 e 3 ottobre, il terzo, L’automobile, il 10 ottobre. L’attrice ebbe un ritorno di notorietà. La fermavano per strada. Dopo questo successo avrebbe voluto riportare in tournée La Lupa in Italia e Spagna. Aveva anche altri progetti che non si poterono realizzare. L’ultima sua apparizione sul grande schermo fu nel 1972 nel film di Federico Fellini, Roma, pochi secondi di pellicola in cui lei era ritratta melanconica per le strade della capitale notturna. Parlava con il regista andando verso il portone di casa sua, si girava e lo guardava e chiudeva il portone, esclamando «Nun me fido». Il film uscì nel marzo. Il 26 settembre lei moriva nella clinica Mater Dei dove era stata operata per un tumore al pancreas. Aveva 65 anni. Proprio quella sera, era programmato in televisione Correva l’anno di grazia 1870…, l’ultimo degli episodi del ciclo di Giannini. «Ho seguito la carriera d’attrice – aveva detto di sé – perché sentivo il bisogno d’essere amata, di ricevere tutto l’amore che avevo mendicato nella vita».
Tullio Kezich di lei scrisse che era una grande attrice trascurata o quantomeno sottoccupata. Era stata un prototipo inimitabile per qualità e difetti che grazie al suo talento partorivano un risultato irripetibile non solo perché era stata l’ultima gloriosa incarnazione di quel naturalismo interpretativo che per decenni era stata la forza del teatro italiano ma perché raccontava un’Italia che non esisteva più.

NOTE

1. Anna Magnani, «Il Tempo», il 16 marzo 1954.
2. «Caro Silvio, penso che tu possa essere un po’ arrabbiato dalla mia telefonata. Penso certamente male! Ti voglio un gran bene. – aveva scritto a Silvio d’Amico – Come sempre è stato un risentimento da “bambina” malgrado l’età, nel sentir mettere in dubbio il fatto che io sia o no romana».
3. Luigi Almirante, primo Padre dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, era considerato uno dei più bravi caratteristi del suo tempo. Antonio Gandusio, classe 1873, uomo di grande cultura e direttore molto rigoroso, che dicevano innamorato di lei, era attore di prosa e cinematografico molto applaudito per la sua particolare comicità. La Compagnia aveva un repertorio leggero di grande incontro.
4. Bragaglia, partito dal movimento futurista, sosteneva di essere l’unico rinnovatore della scena italiana. Il regime lo aveva chiamato fra i consiglieri nazionali della Confederazione fascista professionisti e artisti e dal 1937 gli aveva affidato la direzione del nuovo Teatro delle Arti, creato in Roma nel palazzo della Confederazione stessa.
5. Alberto Savinio, La foresta pietrificata, in «Omnibus», 5 marzo 1938.
6. Anna Magnani, La signora è servita, inchiesta sul problema degli attori in Italia, a cura di Stelio Martini, in «Cinema nuovo», 15 luglio 1953.
7. Silvio d’Amico, Anna Christie, in «La Tribuna», 29 maggio 1939.
8. Il nuovo spettacolo, scritto e diretto da Michele Galdieri, debuttò al teatro Valle di Roma il 5 febbraio 1944. La censura aveva tagliato le allusioni satiriche sui nazisti. Un giorno si sparse la voce di un attentato a Hitler e Totò si presentò in scena con i baffetti, tutto incerottato: attraversò la scena tra l’ilarità del pubblico. Si salvò da un sicuro arresto con la fuga. Liberata Roma Totò ritornò a vestire i panni di Hitler e di Mussolini. La Magnani poco dopo formò Compagnia di rivista con testi dei giovani e sconosciuti Garinei e Giovannini.
9. La critica italiana non colse subito l’importanza del film che fece presto il giro del mondo ad eccezione della Repubblica Federale Tedesca e della Spagna e fu inserito in seguito nei Cento film da salvare.
10. Massimo Fini, Prima di lei conobbi la sua risata, in «L’Europeo», 11 ottobre 1973.
11. Luchino Visconti, Intervista, in «Cinema nuovo», n° 75, 1951.
12. Orio Vergani che vide lo spettacolo a Milano, dove le poltrone costavano quattromiladuecento lire, scrisse nel suo diario: «Tutta l’alta borghesia radunata ad applaudire l’attrice che, per sessanta milioni ogni film, incarna il tipo della “trasteverina proletaria”. /…/ Ostentazione del dilagante carnaio di un décolleté inverecondo da massaia prosperosa. Strana donna: potrebbe recitare – dico un nome a caso – come Giacinta Pezzana e, invece, per “far tipo”, conquista il successo con le pernacchie». Anche se non tutti i critici furono dell’opinione di Vergani, Chi è di scena? non ebbe successo ma quel genere di spettacolo era ormai al tramonto.
13. «E’ così brava che diventa bella» – scrisse Morando Morandini, «La Notte», 31 gennaio – «di una bellezza trasfigurata dall’interno».
14. «A me i personaggi bisogna tagliarli addosso: prima viene la Magnani, poi il personaggio. Sono viziata, lo so. – disse l’attrice a Tullio Kezich – Mi fanno ridere quando dicono: ‘Il cinema ha abbandonato la Magnani’.»
15. «Io voglio che sulla carta l’idea sia chiara, poterla studiare, sviluppare dentro. – dichiarerà più tardi – Pasolini c’era quasi riuscito, ma poi non mi ha lasciato sempre lo spazio sufficiente per dominare il personaggio. Viene fuori soltanto in due carrellate che sento mie: quella allegra e quella tragica, in cui monologo e posso dare tutta me stessa».
16. «Io non credo – scrisse Ennio Flaiano sull’«Europeo» del 6 giugno – alla recitazione dei vulcani, né alle seduzioni dei terremoti, la Magnani restava sempre superiore al personaggio che le avevano destinato, per una sua certa feroce ironia, che temperava gli scoppi, l’afrore e l’ottusità delle passioni ai quali l’obbligavano, ma ormai il cinema le chiedeva solo di ripetersi». Ma per questa Gnà Pina: «Il suo senso della misura, l’abilità di certi angosciati silenzi, il tono sommesso della sua provocazione hanno disegnato un personaggio di peso psicologico nella linea del suo autore».
17. Ennio Flaiano, «L’Europeo», 5 gennaio 1967.
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Fonti, risorse bibliografiche, siti

Archivio Raul Radice al Museo Biblioteca dell'Attore di Genova, ritagli stampa

Matilde Hochkofler, Anna Magnani, Gremese editore, ristampa 2005

Orio Vergani, Misure del tempo diario, a cura di Nico Naldini, Baldini e Castoldi, 2003

Suso Cecchi d'Amico, Storie di Cinema (e d'altro) raccontate a Margherita d'Amico, Garzanti, 1996

Natalia Marino, Emanuele Valerio Marino, L'OVRA a Cinecittà, Bollati Boringhieri, 2005

Teresa Viziano, Anna Magnani una voce umana, Titivilus (sotto la direzione di Andrea Mancini, 2008

Giulia Tellini in Archivio Multimediale Attori Italiani, Firenze, Firenze Unuversity Press, 2012

Video Rai.TV, Speciale Anna Magnani – Hanno detto di lei

Video Rai.TV, Il figlio Luca parla della madre

Teresa Viziano

Laureata in Lettere con una tesi su Paolo Giacometti, dopo avere collaborato a lungo con il quotidiano «Il Lavoro» di Genova e per breve periodo con la cooperativa Teatro Aperto, ha lavorato a fianco di Alessandro d’Amico per oltre 30 anni al Museo Biblioteca dell’Attore di Genova dirigendone gli Archivi. Oltre a numerosi saggi ha pubblicato con Bulzoni: Francesco Augusto Bon, Scene comiche, e non comiche della mia vita (a cura); Il palcoscenico di Adelaide Ristori con presentazione di Alessandro d’Amico; Silvio d’Amico & Co. 1943-1955 con una presentazione di Luigi Squarzina; con la Titivillus: Anna Magnani una voce umana; Adelaide Ristori, Giuseppe Garibaldi e la spedizione dei Mille (edizione fuori commercio in occasione del 150° anniversario della spedizione dei Mille e dedicato dal Sindaco di Genova al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; La conchiglia di Santiago: Evviva Adelaide Ristori Evviva l’Italia Evviva Verdi (1858-1861). Ha appena finito di scrivere la biografia di Adelaide Ristori ancora inedita.

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