Carlotta Marchionni fu una grande attrice del teatro italiano di primo Ottocento: una figura il cui valore professionale è così riconosciuto, da meritare la biografia sul Dizionario Biografico degli Italiani e studi ripetuti nei centri di ricerca sullo spettacolo. Ma le fonti sono gli scritti di chi le fu accanto e la percepì come una meteora del palcoscenico: la sua voce non si distingue ancora.
La Marchionni fu coeva del primo sviluppo del teatro in senso nazionale, dopo l’opera pioniera di Goldoni e Alfieri, essendo stata testimone dell’incontro tra Foscolo e Silvio Pellico, nel clima di attenzione alle grandi figure europee dell’epoca: Schiller, Goethe, Byron. È ritenuta l’interprete insuperata, dalla prova del 18 agosto 1815 al teatro Carlo Re di Milano, della Francesca da Rimini di Pellico, testo che Carlotta contribuì a definire. L’epistolario dello scrittore piemontese, anzi, è considerato fonte primaria per la biografia della Marchionni, emendato degli abbagli e delle dispute dei primi editori. Inizialmente infatti il deposito archivistico di Pellico si trovò presso i Gesuiti torinesi, a lui familiari. Presso di loro erano le opere successive al 1820, quando il letterato fu arrestato come carbonaro, e poi quelle che produsse dopo il 1830, quando si rifugiò in Piemonte, scontata la pena.
Le stesse date valgono anche per Carlotta Marchionni, che, con dovute distinzioni, pure fu vicina ai congiurati, a Pellico e a Maroncelli, ma attraversò successi nel tempo delle loro torture e detenzione. Il 1821 articola in due parti anche la sua biografia. La Marchionni entrò allora nella Compagnia Reale Sarda: una delle pochissime iniziative del genere messe in campo dagli stati restaurati dell’Italia, dopo la bufera napoleonica. Un apposito regolamento subordinava al calendario della Compagnia privilegiata ogni altra iniziativa di spettacolo, destinando ad essa in particolare il teatro Carignano e il D’Angennes. In tale Compagnia la Marchionni diventò “primattrice” nel 1823 e rimase fino al termine della carriera, nel 1840.
Doveva apparire, questo, un approdo che riapriva alla speranza l’animo di un’attrice sensibile come la Marchionni: dopo il fallimento dei primi moti risorgimentali nel 1820-21, lo stesso “gesuitismo” riorganizzatosi specialmente nel Piemonte era sentito come un dato positivo, comunque con rispettoso interesse. Come lo era per Pellico, del resto. Sospesa dal 1773, la Compagnia di Gesù era stata rimpianta al tempo di Napoleone dal sentimento di affetto verso il papa, ritenuto vilipeso, e ricostituita nel 1814 (primo atto del ritorno all’ordine). Avvenne così che, nel clima della repressione contro i risorgimentali, la gesuitica Torino lanciò la sfida alla emancipata Milano, offrendo un porto accogliente ai perseguitati. Fu questa la radice del primo guelfismo risorgimentale in cui prese campo l’utopia di Vincenzo Gioberti.
Per la Marchionni, accanto ai successi teatrali, si segnala una precisa connotazione risorgimentale, almeno sotto il profilo del fermento spirituale che lo introdusse. Dopo i modi disinvolti e brillanti, infatti, di cui ci parlano autori del Settecento come Parini o Alfieri, il riordino della Restaurazione comportò sentite crisi interiori, finché la mutazione nel costume generale divenne visibile intorno agli anni ’30. Il nuovo equilibrio si fissò infine in una formula di morigeratezza formale, assegnando all’uomo il ruolo di conduttore, alla donna quello della curatrice in oblazione alla famiglia. Va dunque considerata, ma interpretata diversamente, la critica di Luigi Vestri, noto attore all’epoca, che, definendo il capocomico della Compagnia Sarda, Gaetano Bazzi, «schiavizzante per la primattrice Marchionni», sanzionava o compativa implicitamente anche l’attrice. Ma le contraddizioni, se erano ovunque, tanto più si addensavano nel mondo del teatro: Vestri in persona rimase nella stessa Compagnia Sarda dal 1829 fino a poco prima della morte, nel 1841. Bazzi fu noto come “uomo di virtù monacali” e, d’accordo con il sovrintendente conte Lodovico Piossasco, impose a tutta l’operazione intorno al teatro dello Stato Sardo caratteristiche prevalentemente etiche. Ma se la Marchionni assecondò, non può dirsi si trattasse di assoggettamento. Essa trovò lo spazio appropriato per la sua vita, in quella fase, proponendosi come “perfetto ideale della femmina italiana”. In questo consiste per la Marchionni nel 1821 la svolta biografica, che segnò la maturità artistica: se anteriormente nel suo intenso tirocinio l’attrice aveva portato sulla scena il travestimento della “donna ideale”, trascinante «nel maneggio delle passioni» – così già una cronaca del 1815 –, in ultimo essa finì per aderire al personaggio: la rappresentazione invase il suo privato, ultimo passo lungo un’ascesa spirituale di un rinnovamento profondo che presso di lei fu duraturo. Certo la concentrazione nell’arte ne beneficiò negli anni della maturità tra il 1821 ed il 1840: le fonti, cioè il coro degli osservatori, non narrano che l’efficacia entusiasmante della carriera di attrice e la rispettabilità delle sue frequentazioni. Nessuna relazione amorosa si rintraccia in tale fase. Invece qualche ammissione filtra da certe cronache molto defilate per il periodo anteriore: nell’adolescenza aveva avuto una relazione con un attore bello e mediocre, Ferdinando Maraviglia, passando poi a “più maturi amori”: fra questi, sembra, non Silvio Pellico, ma gli amici del letterato, per i quali egli, nel rapporto asimmetrico allora previsto, nell’epistolario auspicava la compiacenza della Marchionni, come l’anziano Ludovico Di Breme; poi, forse, Pietro Maroncelli.
Tra i nomi degli intellettuali europei che attestarono l’ammirazione per Carlotta Marchionni, come Madame De Staël, Byron, Rossini, Stendhal, l’impatto maggiore nella biografia della donna va attribuito alla conoscenza con Madame De Staël, nata Necker: un filo solidale per la Marchionni, già vivo prima dell’impresa del «Conciliatore» nel 1818, che segnò l’orientamento verso il Romanticismo, risposta intenzionale alle critiche della letterata per la modestia asfittica della cultura italiana.
L’incontro dell’attrice con la Necker De Staël datava da un tempo più antico: la signora l’ammirava e la seguiva almeno dal 1814, quando l’aveva vista nella Mirra di Alfieri. Giovanissima, ma piena di talento e di “ambizione” – la parola era del Pellico, scrivendo al fratello il 13 luglio 1823 –, aveva voluto perfezionarsi con due mesi di studio presso la celebre scuola fiorentina del Morrocchesi. Le cronache si fermano a queste tracce. Ma non è escluso che l’incontro fosse maturato proprio nella stessa Pescia, paese d’origine dei Marchionni, dove Carlotta era nata. La città era residenza dell’amico e collaboratore della Necker, Sismonde de Sismondi, altro grande punto di riferimento per gli italiani intellettuali e desiderosi di cambiamenti politici. Pescia era città natale anche del nipote di Sismondi, il giurista Francesco Forti.
“Figlia d’arte”, Carlotta, portata sulle scene piccolissima: era attore il padre Angelo e divenuta tale la madre, la senese Elisabetta Baldesi, più tardi anche proprietaria della Compagnia. Ma sembra uno stereotipo vago quanto scrive Pellico al fratello Luigi il 13 luglio 1823: «Che non sarebbe divenuta quella fanciulla se invece di vivere – come tutti i nostri comici in Italia – in una specie di ghetto ambulante, fosse stata educata da egregi maestri, da egregio pubblico, da egregia società!».
In modo incerto, le cronache parlano anche di altri interessi nel nucleo dei Marchionni: il commercio, la presenza di uno zio nobile veronese coniugato con Anna Baldesi, sorella della madre, da cui era nata a Livorno nel 1793 Carolina Internari, divenuta poi essa pure celebre attrice, l’attività scenica e letteraria del fratello Luigi, maggiore di cinque anni rispetto a Carlotta, traduttore di Fréderic e Tennington, la frequentazione di Pietro Giordani. Di tale letterato si conoscono le epigrafi per una sorella, Giuseppina, morta a Livorno nel 1816 e per la madre, morta a Torino nel 1835.
Carlotta si era formata per tre anni presso le Orsoline di Verona, già apprezzata per il talento scenico. Quattordicenne era tornata al palcoscenico, primattrice nella Compagnia Pani, passando poi nella Compagnia della madre dopo il 1814: non si sa la data di morte del padre.
Nella attività presso la Compagnia Reale Sarda, Carlotta ebbe accanto la cugina Teresa Bartolozzi, ma detta “Marchionni”, che si prese cura di lei da allora e fino alla morte, il 1° febbraio 1861, essendole sopravvissuta per altri diciotto anni.
Nella sua carriera fu ritenuta interprete magistrale di autori come Alfieri, Nota, Brofferio, Marenco, Battaglia, oltre che di Pellico. Che compendiasse «in se stessa i tratti speciali del dramma moderno», esprimendo «tutte le gradazioni della poesia; dalle note gravi alle dolci, dalle elevate alle volgari, dalle fantastiche alle appassionate» lo affermò il giornale teatrale «Il Figaro» dopo il congedo a Milano nel dicembre 1839.
Grandi e significativi riconoscimenti le tributarono molte personalità amanti del teatro, ma particolarmente la città di Torino, quando uscì dall’esercizio attivo, dopo il quale si limitò alle attività nell’Accademia Filodrammatica ed alle esibizioni benefiche. Fra i numerosi e vari tributi menzioniamo a Torino un volume di poesie ispirate alla Marchionni, «fra le quali primeggiano i versi di Barbieri e di Costanza Perticari», le medaglie coniate per lei da Bologna, e da Milano, «onore dato solo alla comica Andreini nel 1505», come dice lo storico Sanguinetti.
Ma lascia interdetti, e sprona ad insistere nella documentazione e nella ricerca, la frase ambigua che lo stesso storico trova presso «Il Figaro» dopo l’addio al teatro nel 1840, compiangendo il “doloroso sacrificio” dell’attrice, spiegando che la signora «sapeva che la rinomanza del suo nome era solo raccomandata alla memoria degli uomini, ad alcune testimonianze d’ammiratori, e non ad opere sue che la potessero tramandare sempre più bella ed ingrandita alle più remote età».
Sotto il colore del commento lusinghiero e lacrimevole, si coglie una nota che a noi suona intimidatoria: perché “sacrificio” e perché rinuncia “ad opere sue”? L’attrice giovane che fu la più diretta erede della Marchionni, Adelaide Ristori, si affidò anche alla scrittura, con l’opera Ricordi e studi artistici. Non così la Marchionni: pure possedeva la scrittura. Appare suo dettato la nota sotto la litografia del monumento funebre per la madre, riportata nella raccolta delle iscrizioni del Giordani: «Carlotta Marchionni fece questo monumento alla Madre: e le pare che nulla basti a significare la gratitudine, l’amore e il desiderio per quella da cui riconosce quanto mai ebbe di bene e di caro nella vita. E perché nei momenti estremi della madre, dalla quale soleva non mai separarsi, trovandosi lontana per caso non poté ricevere la benedizione della moriente, ha voluto che lo scultore la rappresentasse in quell’atto, al quale tanto le duole e sempre le dorrà di essere in effetto mancata».
La presenza di almeno due lettere presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, scritte dalla mano della Marchionni, sono attestate tra i documenti di Carolina Internari e di Giuseppe Montani, per rivelarne gli affetti direttamente, non solo per obliqui portavoce. Ma le molte lettere inedite scritte a lei da Pietro Giordani, e catalogate, parte nell’archivio dell’Università di Pavia e parte a Livorno nell’archivio Bastogi, provano scritture disperse, che sarebbe desiderabile ritrovare.
Nell’immagine: Ritratto di Carlotta Marchionni, di Giuseppe Bezzuoli, Collezione privata