«Cittadini, se voi spezzare volete le catene dei re, noi spezzare vogliamo anco le nostre.»
Carolina Arienti partecipò con entusiasmo all’esordio della Repubblica cisalpina, come dimostra il suo discorso su “La schiavitù delle donne” (che in seguito pubblicò con dedica alla “cittadina Rose Josephine Bonaparte”), pronunciato il 1° luglio 1797 all’Accademia di Pubblica Istruzione, in Mantova, appena liberata dalle truppe francesi. Vi rivendicava maggiori diritti per le donne, criticando i metodi educativi abituali che i genitori adottavano nei confronti delle fanciulle. Inoltre fu tra le prime ad evidenziare i limiti della legge in materia di divorzio e diritti patrimoniali. Con parole appassionate, Carolina affrontava l’argomento dei condizionamenti imposti alle donne dalla legislazione vigente nei regimi dispotici, dove «il più dolce dei legami viene trasformato nella più pesante delle catene». È evidente il suo richiamo ai governanti a tener conto delle esigenze femminili nel merito delle scelte legislative, a lamentare l’esclusione delle donne dagli impieghi, a polemizzare con Rousseau, persuaso che «la femme est faite spécialement pour plaire à l’homme», a denunciare che non la natura, ma gli uomini hanno sempre ostacolato l’emancipazione della donna e non le hanno mai consentito di svolgere un ruolo attivo nella società: «Noi bandite da tutti gl’impieghi, avvilite dal sistema assurdo e snaturato di una frivola educazione, abbiamo disperato per molti secoli di vincere tanta barbarie, e di vedere il fine di tante ingiustizie. Si è ripetuto le mille volte, che noi siamo create per la felicità degli uomini. Essi però a vero dire colla loro condotta ci hanno dato sovente argomenti di credere, che sono stati creati per raddoppiare i nostri lacci, e per renderci nella società affatto passive. Cittadini, se voi spezzare volete le catene dei re, noi spezzare vogliamo anco le nostre».
Carolina affermava che le donne devono avere gli stessi diritti e doveri degli uomini, e che la rivoluzione non sarebbe completa se la vita politica non fosse determinata anche dalle donne. E concludeva il suo discorso esclamando: «Deh! giunga pertanto il giorno di redenzione anco per il mio sesso, e allora a più ragione ci chiamerete la più cara parte del genere umano».
Moglie di Giuseppe Lattanzi, esponente politico della Repubblica cisalpina e promotore del «Colpo d’occhio», quotidiano di economia pubblicato a Milano, nel 1804 fondò col marito in questa città il «Corriere delle Dame», settimanale femminile di otto pagine, che lei stessa diresse fino alla sua morte, nel 1818. Tutti i numeri contenevano l’illustrazione di un figurino di moda e, cosa inconsueta per la stampa della moda, informazioni utili riguardanti la politica. Non mancavano le cronache teatrali e i consigli su come allevare i figli. Il nuovo giornale, che cercava di aggirare la censura politica imposta sul territorio della Repubblica cisalpina da Napoleone, mirava a proseguire l’esperienza settecentesca del «Giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra» (1786-1794) e del «Courier des Muses et des Grâces», di cui era stato pubblicato qualche numero proprio nel 1804, in lingua francese. La fortuna del giornale, nel periodo della direzione di Carolina, fu favorita dalla crescita del settore commerciale del tessuto e dell’abbigliamento, e dal particolare fermento nel panorama editoriale e sociale milanese per l’organizzazione dell’incoronazione di Napoleone, che avveniva sotto la regìa francese, e che Carolina riuscì a sfruttare abilmente: ottenne infatti l’esclusiva sui figurini degli abiti delle alte cariche del regno e non mancò di dedicare alla famiglia Bonaparte epigrammi di lode. Un esempio può essere fornito dal numero del giornale del 3 gennaio 1808, che pubblicò un articolo su Vita e fasti di Napoleone il Grande, una lode dell’Imperatore francese definito “il più grande fra gli eroi”.
Il giornale trattava di storia e attualità, di racconti di paesi esotici, ospitava la rubrica Sentenze politico-morali, aneddoti, massime, composizioni letterarie in prosa e poesia nella rubrica Libri Nuovi, un indovinello in rima con soluzione nel numero successivo chiamato Enimma, il bollettino di recensioni teatrali e una sezione dedicata agli Avvisi commerciali. In chiusura offriva una sintesi dei fatti di politica interna ed estera nella rubrica Termometro politico della settimana. Per la toeletta delle dame: fu la parte del giornale che, fino al 1810, riuscì a sfuggire alla censura.
Affiancava letture leggere a temi seri, entrambi graditi alle lettrici che mostravano di apprezzare le tendenze larvatamente femministe palesate dalla redattrice. Ma il contenuto centrale della rivista era sicuramente la moda, con in primo piano il figurino, unico elemento iconico. La provenienza era naturalmente francese e ogni problema di trasmissione imponeva agli editori di uscire senza figurino o di riproporne di già pubblicati. Gli studi sul «Corriere» dimostrano che Carolina fu sempre attenta a non scalfire il valore dei figurini, ma piuttosto ad auspicare che Milano abbattesse il monopolio francese della moda, spiegando che non tutte le mode d’oltralpe potevano essere adottate in Italia. Il suo intento sembra quello di dare a Milano il ruolo di capitale dell’eleganza, ma anche del lavoro artigianale per produrla. Con il ritorno degli Austriaci nel 1815, a seguito delle decisioni del Congresso di Vienna che instaurarono il Regno Lombardo-Veneto, il «Corriere» visse un periodo di crisi, dovuto alla più marcata censura e alle difficoltà doganali con la Francia, ma riuscì comunque a sopravvivere anche grazie alla sua capacità di inserirsi in quel filone di stampa che va dal giornalismo di informazione letteraria a quello di intrattenimento, di struttura eclettica, in grado di spaziare fra argomenti di vario genere con regolarità e scarsa ripetitività. Il giornale pubblicava anche partiture musicali (per esempio cavatine per chitarra di Nicola Moretti; cavatina polonese di Tommaso Marchesi, accademico filarmonico di Bologna; cavatine cantate di Sebastiano Nasolini, ecc), nonché opuscoli come l’Elogio storico della Contessa Paolina Secco-Suardo-Grismondi tra le Pastorelle d’Arcadia Lesbia Cidonia, opuscolo secondo della raccolta offerta e distribuita alle sole signore associate al Corriere delle Dame da Carolina Lattanzi nel 1809.
Nel 1815 Carolina pubblicò un Diario poetico, che venne distribuito alle abbonate come almanacco, ma quell’anno segnò l’inizio della sua malattia. Morì nel 1818. Giuseppe Lattanzi sposò in seconde nozze Vittoria Carolina Pozzolini, che scrisse articoli per il «Corriere delle Dame» firmandosi C.L., la sigla che era stata della prima Carolina, forse a testimoniare la continuità di ispirazione del giornale destinato a una lunga esistenza, fino al 1874.