Gabriella Gentili nacque il 17 ottobre 1913, cento anni fa, ignara del fatto che poco più di un mese dopo, il 22 novembre, nella contea del Suffolk stesse per venire alla luce Benjamin Britten, che qualche mese prima era morto Alessandro Parisotti (le cui trascrizioni avrebbe studiato in gioventù); ignara pure che proprio il 13 (1613, Giovanni Maria Artusi, 1713, Arcangelo Corelli, 1813 Richard Wagner e Giuseppe Verdi…) divenisse a ogni scadenza di secolo un numero magico per la storia musicale, come l’85, che aveva visto, solo nel Seicento, la nascita di Bach, Händel e Scarlatti. Anche a lei quindi un dovuto “elogio per il centenario” per avere contribuito in maniera determinante alla rinascita del clavicembalo e degli studi sulle tastiere storiche in Italia.
Al clavicembalo arrivò nella piena maturità, dopo i quarant’anni: prima, l’infanzia a Torino, in corso Galileo Ferraris 69, al secondo piano. Una grande casa, con un lungo corridoio dove la piccola correva con i cugini Lina (che conserva ancora tanti ricordi) e Renzo Tedeschi e col fratello “Euge” (1916-2005), che diventerà il noto architetto Eugenio Gentili Tedeschi. Il salone era destinato alla musica, coltivata con competenza, seppur da dilettante, dalla madre Isabella Tedeschi, pianista e cantante, e con alto professionismo dal padre Alberto Gentili, compositore, direttore d’orchestra e storico della musica, allievo di Martucci e Pollini ma anche laureato in Legge all’Università di Bologna. Con gli studi ginnasiali e liceali (condotti in privato per ragioni di salute) Gabriella compie quelli pianistici conquistando un brillante diploma, con nove e mezzo in tutte le prove, ottenuto da privatista al Liceo Musicale pareggiato di Torino il 4 maggio 1933. La carriera musicale, pur desiderata, per una giovane di buona famiglia come Gabriella era impensabile; nel 1937 arrivò il matrimonio “da favola” con Rino, figlio del ricco uomo d’affari Cesare Verona, rappresentante della Remington in Italia e ben introdotto anche negli ambienti governativi: da quell’anno e per sempre vorrà chiamarsi col doppio cognome, Gabriella Gentili Verona. Ma le leggi razziali non risparmiavano nessuno e dopo lo scoppio della guerra e l’otto settembre iniziò per Gabriella e per la figlia Adriana il periodo tremendo delle persecuzioni. Il marito era riparato in Svizzera, lei peregrinava con la sua piccola tra Zogne nella Bergamasca, La Salle in Valle d’Aosta, un sottotetto con le finestre oscurate nella periferia di Milano, nascosta e in fuga, sempre col terrore delle delazioni. Dopo la guerra Adriana si spense per la tubercolosi, e nel 1952 Gabriella si ritrovò vedova. Nel 1954 morì anche il padre.
A quel punto però rinacque alla vita attraverso la musica: con slancio e decisione, lei, fine signora dall’aspetto aristocratico, ricominciò da capo: ammiratrice da sempre di Wanda Landowska, andò a Parigi a studiare il clavicembalo con Aimée van de Wiele (allieva di Landowska), iniziando finalmente la “sua” stagione musicale volta a ri-scoprire la cosiddetta musica antica. Il percorso della sua ricerca è segnato anche dagli strumenti posseduti: un Pleyel modello Landowska (quasi un pianoforte con le corde pizzicate), poi un monumentale De Blaise, con sette pedali e una sfilza di combinazioni di registri, infine, negli anni Settanta, l’agognata copia di uno strumento storico Pascal Taskin, di William Dowd. Agevolata dalla conoscenza delle lingue (il francese e il tedesco imparati in famiglia, l’inglese studiato da sé) iniziò a costruire la sua preziosa biblioteca, donata con quella del padre alla Nazionale di Torino e al Conservatorio Milano; con accanimento filologico andò alla ricerca di quanto allora, negli anni Sessanta, si fosse già scritto nell’ambito della prassi esecutiva e della notazione; si fece inviare in microfilm o in fotocopie, la trattatistica conservata nelle biblioteche di mezzo mondo, comprò le prime edizioni anastatiche: intuiva che suonare quel repertorio equivaleva a individuarne le basi storiche. Nel frattempo con una cerchia di musicisti -colleghi, amici – procedeva nella scoperta del repertorio: Irma Bozzi Lucca, Ersilia Colonna, Françoise Ogéas, Alfredo Riccardi… oltre che agli appassionati dilettanti Giovanni Pellini e Gualtiero Morpurgo. In quegli anni, Emilia Fadini (1930), un’altra protagonista della storia musicale italiana, si legava a Gabriella in un rapporto profondo e duraturo di amicizia e stima professionale.
Una brillante attività concertistica, intensificatasi negli anni Settanta, fece conoscere Gabriella in Europa e in America e culminò in importanti esecuzioni testimoniate oggi da alcune incisioni radiofoniche e discografiche, ricostruite in cd dal nipote Massimo Gentili-Tedeschi.
Oltre alla carriera concertistica iniziava anche quella di insegnante alla Civica Scuola di Musica di Milano e poi al Conservatorio Paganini di Genova. Il suo modo di lavorare è ben sintetizzato nella presentazione del lavoro più noto, la traduzione italiana del primo volume del trattato di Carl Philipp Emanuel Bach Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen: «La nostra epoca è caratterizzata, nel campo dell’interpretazione musicale, da una ricerca che va al di là dell’ambito puramente tecnico per investire in profondità tutti gli aspetti di un’opera, nell’impegno di collocarla in modo esatto e completo nel contesto che l’ha vista sorgere».
Dopo il pensionamento dal Conservatorio (la sua cattedra passò ad Alda Bellasich e oggi è di Barbara Petrucci), Gabriella Gentili Verona ha tradotto la seconda parte del trattato, difficile, dedicata al basso continuo e alla libera fantasia, e si è dedicata alla trascrizione di brani per tastiera scritti originalmente nella complessa notazione dell’intavolatura tedesca. Ha continuato la paziente opera di ricostruzione della biografia e dell’opera musicale e musicologica del padre, si può dire quasi fino all’ultimo momento: si è spenta a Milano, il 6 maggio 1996. Certamente oggi con i mezzi della più moderna filologia si potranno senz’altro migliorare le sue armonizzazioni o alleggerire le sue traduzioni di tutte quelle note che aggiungeva nella foga quasi maniacale di voler spiegare tutto. Ma ascoltando le incisioni, e leggendo le sue osservazioni, nonostante la patina dell’antico che – paradossalmente – si è già depositata su certe scelte, si recepisce la personalità di chi, semplicemente, definiamo un’artista.
Gabriella Gentili Verona
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Gabriella Gentili Verona, Le collezioni Foà e Giordano della Biblioteca nazionale di Torino, in Accademie e biblioteche d'Italia, XXXII, n. 6, novembre-dicembre 1964
Gabriella Gentili Verona, Baldassare Galuppi, Beatus vir: psalmus 112, trascrizione e revisione, Tel Aviv, Israeli Music Publications limited, 1965
Gabriella Gentili VeronaCarl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera. L'interpretazione della musica barocca, tr. it., Milano, Curci, 1973
Gabriella Gentile Verona, Il lascito culturale di un musicista cenedese, in «Il Flaminio», n. 5, 1990
Gabriella Gentili Verona, Giovanni e Antonio Maria Bononcini, Tre cantate per Soprano o Tenore e cembalo, rielaborazione, Milano, Curci, 1974
Gabriella Gentili Verona, Cesare Borgo, Canzoni per sonare, 1.-12, Venezia, 1599, Padova, Zanibon, 1984
Gabriella Gentili Verona, François Couperin, Metodo per il clavicembalo, versione italiana, Milano, Curci, 1989
Carl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera. Parte seconda che tratta dell'accompagnamento e della libera fantasia, prima versione italiana, Milano, Curci, 1993
Gabriella Gentili Verona, Antonio Mortaro, Primo libro de canzoni da sonare, Venice 1600, American Institute of musicology, 1995
Gabriella Gentili Verona, The Renaissance of harpsichord in Italy, Istituto Discografico Italiano, IDIS, 310, 1998
Fulvia Riccardi, Il trattato di Carl Philipp Emanuel, in «Amadeus» speciale, XV/2, aprile 2005 e Ricordo di Gabriella Gentili Verona, Rassegna musicale Curci, gennaio 2011
Maria Letizia Sebastiani e Franca Porticelli, a cura di, Torino musicale scrinium di Vivaldi, introduzione alla mostra, Ministero per i Beni e le Attività Culturli, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, 2006
Pinuccia Carrer
È docente di Storia della musica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. La sua attività di ricerca, iniziata con Francesco Degrada e Emilia Fadini, si rivolge in particolare alla ricostruzione del repertorio e alla produzione delle donne musiciste, cui ha dedicato articoli, saggi, conferenze, concerti; ha ideato la base dati Presenze femminili nel Fondo Noseda della Biblioteca del Conservatorio di Milano e collabora con la Fondazione Adkins-Chiti: donne in musica. Coordina il gruppo italiano del RILM-Répertoire International de Littérature Musicale.