Millecinquecento anni fa l’Europa era verde, verdissima: un bosco fitto e scuro di querce ontani carpini betulle pini neri ricopriva le pianure arrampicandosi sui fianchi dei monti. Questo vedevano uomini e donne di allora appena al di là delle case: la foresta piena di segreti diventerà nell’immaginario collettivo il luogo dell’avventura, del viaggio e dell’imprevedibilità della vita. Gli abitanti d’Europa erano pochi, forse una trentina di milioni e, in media, raggiungevano appena i quarant’anni di vita: vivere fino a settanta anni era cosa molto rara ma Geneviéve li superò largamente.I più vivevano in villaggi separati fra loro da terreni solo in parte coltivati o in casolari isolati. In Gallia – come in Italia- le città erano scarse e oramai poco abitate: Parigi, Auxerre, Tours, Soissons, Reims… Galli e Romani dopo secoli di guerre, vivevano gomito a gomito, ma tendevano a conservare le proprie abitudini di vita: i Romani usavano l’olio e bevevano il vino, i Galli preferivano il burro e la birra; gli uni, con i loro schiavi, coltivavano i terreni delle loro grandi ville mentre i Galli si dedicavano specialmente alla caccia e all’allevamento dei maiali. Erano tempi di scarsa produttività e scarso cibo: guerre, epidemie, lunghi incendi, scorrerie nemiche, mancanza di braccia da lavoro e strumenti inadeguati come l’antico aratro di legno dei romani…Quello di ferro verrà introdotto poco più tardi.
Geneviève è una santa che appartiene al mondo di quei secoli, precario e in trasformazione: non è una martire né una regina, ma soltanto una ragazza dalla vita semplice che a vent’anni appare già dotata di una dignità sacra. Giovanissima, Geneviève arriva a Parigi e là il vescovo Germano d’Auxerre, famoso esperto in diritto romano, le affida una missione religiosa e civile, la protezione della città e del suo popolo.
Gli Unni avevano conquistato e distrutto Reims e puntavano su Parigi. I cittadini presi dal terrore e impotenti come bambini si preparavano ad abbandonare le case. La giovane Genoveffa raduna le donne in una chiesa invitandole a pregare per sventare il pericolo, ma il suo comportamento sembra a molti cittadini di Lutetia quello di una falsa profetessa annunciatrice di sventure. Come accade sovente gli uomini spaventati prendono la decisione più inutile e feroce: Geneviève deve essere lapidata con la condanna che la Bibbia prevede per i falsi profeti. Ma ecco il miracolo, un semplice gesto che la salverà. A operare il prodigio non è lei, ma il suo vecchio protettore Germano d’Auxerre che appena un giorno prima di morire affida al suo successore un cesto di pani dolci e secchi da portare al popolo di Parigi come messaggio. Cosa significava?Il pane buono e vero nell’intenzione di Germano stava ad indicare che le parole della giovane donna dovevano essere giudicate altrettanto vere. I cittadini di Parigi comprendono senza esitazioni il messaggio e seguono Geneviève: Parigi sarà salva grazie alle preghiere della donna. Nella realtà storica sappiamo che Attila risparmiò Parigi perché cambiando percorso deviò verso Orléans che in quel momento gli sembrava più appetibile.
La vita della santa sarà da qui in avanti tutta dedita alla gente della sua città. Scrive il suo anonimo antico biografo che Geneviève è sempre assistita nel suo agire da dodici vergini che rappresentano oltre alle virtù religiose alcuni valori civili come l’amore per la pace, la prudenza, la solidarietà, e il coraggio, talenti indispensabili per vivere in comunità in tempi pericolosi. Quasi tutti i miracoli di questa santa così singolare sono semplici ma vitali. Il più esemplare è il “miracolo dei forni” il cui racconto rappresenta vividamente aspetti quotidiani di quei tempi. Nel racconto si legge che Geneviève prediligeva un luogo campestre a nord della città dove sognava di far costruire una chiesa in onore di san Dionigi vescovo e martire. Ma i tempi erano poveri e non esistevano più i grandi forni romani dove cuocere la calce indispensabile a costruire grandi edifici. Il miracolo, nello stile della nostra santa, non scende dal cielo ma sale dalla terra e dalla gente più umile. Geneviève si limita a consigliare a due sacerdoti amici, che come lei avevano a cuore l’onore di san Dionigi, di «attraversare il ponte e ritornare poi in città alla sera prestando attenzione alle parole che avrebbero sentito con le loro orecchie». I due incontrano sul far della sera due guardiani di porci che chiacchierando fra loro si raccontano gli eventi della loro giornata di lavoro. Uno di loro seguendo le orme di una scrofa sfuggita si era imbattuto «in mezzo al bosco in due forni da calce di incredibile grandezza» resti evidenti di una passata attività dimenticata. La bella notizia è riferita a Geneviève che con l’aiuto di un monaco esperto in architettura si mette subito all’opera. Questa volta i cittadini di Parigi la seguono con entusiasmo e «lavorando giorno e notte costruiscono la chiesa che – nota il biografo – aveva la pianta delle basiliche romane e un robusto tetto di travi». Le poche righe dello scritto ci restituiscono un mondo scomparso: la penuria dei mezzi, i resti di un passato prospero nascosti nel bosco che aveva invaso quelli che appena un secolo o due prima erano luoghi di lavoro, il fascino agreste di una Parigi, allora piccolo paese circondato dalla foresta, dove in piazza alla sera si incontravano pastori, contadini e chierici tutti insieme a raccontarsi la giornata prima della preghiera e del riposo notturno. E in questo contesto campestre e operoso Geneviève si muove con i suoi miracoli importanti per la comunità ma elementari: dissetare con l’acqua di una brocca che miracolosamente non si vuota i falegnami che stanchi in una giornata d’estate si accorgono di non aver più da bere; indicare a un gruppo di pellegrini con luminosissime torce immateriali la strada nel bosco di notte; allestire una piccola flotta di undici barche per cercare risalendo la Senna il grano durante la carestia; cantando a gola spiegata calmare i barcaioli terrorizzati per un improvviso temporale che si scatena sul fiume; allontanare dal cielo sopra il campo dove avviene la mietitura le nubi cariche di tempesta; distribuire pane caldo appena sfornato in inesauribile quantità dalla sua cucina ai poveri che non avevano il forno per cuocerlo…
Ma la santa che diventerà protettrice di Parigi opera (raramente) anche prodigi più spettacolari. Childerico re dei Franchi – uomo alto e forte, con i capelli lunghissimi divisi in treccioline alla moda germana, ma avvolto nel mantello da generale romano – incontra a un certo punto Geneviève. I Franchi erano allora foederati, ossia alleati ai Romani e il loro re ammirava alcune usanze romane e invidiava le loro belle città come Tournai o Soissons dove soggiornava volentieri. Ma non esitava a seguire certi feroci costumi barbarici come l’esecuzione in massa di centinaia di prigionieri. Così decise di fare anche quella volta a Parigi, pur intimidito dalla presenza in città di Geneviève che apparteneva pur sempre alla aristocrazia gallo-romana ed era una donna: sappiamo infatti da Tacito che «il popolo dei Germani (i Franchi erano Germani) vedeva nelle donne qualcosa di sacro e attribuiva loro una capacità preveggente». Il biografo aggiunge che «Childerico aveva per lei rispetto e affetto». Geneviève con forza miracolosa, prima apre le porte sbarrate delle mura della città e della prigione e libera i prigionieri, poi raggiunge Childerico, che si era a buon conto allontanato da Parigi, e gli chiede la grazia per i condannati. Il re intimidito gliela concede immediatamente. I cristiani gridano al miracolo, i Franchi vedono in lei una donna paragonabile alle antiche donne germane che avevano sventato pericoli gravi con iniziative coraggiose.
Nel 502 a più di ottanta anni Geneviève, dopo aver combattuto terribili draghi e cacciato i demoni che abitavano il cuore dei suoi concittadini, ridato la vista ai ciechi e salvato moribondi, muore e viene sepolta dapprima in una umile tomba poi nella chiesa dedicatale dalla coppia regale Clotilde e Clodoveo, convertiti alla fede cristiana.
Geneviève continua nei secoli a irraggiare il suo potere taumaturgico: guarire le febbri maligne e allontanare le invasioni, come quelle dei Normanni prima del Mille.
Nel 1822, decenni dopo la Rivoluzione che aveva disperso le sue ceneri, il Pantheon si riapre al culto di Geneviève che diventa patrona di Francia oscurando altri santi di prima grandezza come Denis, Marcel e Germain. I parigini affollarono in festa il Pantheon il 25 agosto del 1944, giorno della liberazione dai tedeschi.
Immagine:
Sainte Geneviève et le diable miniature sur parchemin, XIIIe siècle,Tirée du censier de la pitancerie de l’abbaye Sainte-Geneviève, 1276 – 1277(tratta da http://www.culture.gouv.fr)