La baronessa Hildegard Anna Augusta Elisabeth Rebay von Ehrenwiesen è stata la prima curatrice della collezione Guggenheim e l’animatrice del progetto dell’omonimo museo newyorkese: progetto che, dopo averlo tanto sognato, desiderato, promosso, le sfugge dalle mani per motivi di rivalità e ambizioni personali, tanto da non venire nemmeno invitata all’inaugurazione. Nella sua storia, la fiducia cieca in un credo, quello dell’arte astratta, o meglio, secondo l’espressione da lei prediletta “non-oggettiva, si intreccia con il leit-motiv della grande invidia verso una donna (per giunta immigrata) diventata in breve tempo troppo potente.
Nata a Strasburgo nel 1890, in seguito agli incarichi del padre, militare dell’esercito prussiano, Hilla cresce a Friburgo, Hagenau e Colonia, dove studia pittura, disegno e musica. Ormai decisa a diventare un’artista, nel 1909 si trasferisce a Parigi, dove frequenta l’Académie Julian e, la sera, l’Académie de la Grande Chaumière, avvicinandosi anche alle dottrine teosofiche.
Su consiglio del pittore Fritz Erler trascorre un anno a Monaco di Baviera, non entrando tuttavia in contatto con l’ambiente del Blaue Reiter. Nel 1912 Hilla conosce il critico Félix Fénéon, che la introduce all’ambiente della galleria Bernheim-Jeune e la avvicina alla pittura post-impressionista. Nel 1913, la pittrice espone alla mostra della Secessione di Monaco e al Salon des Indépendants di Parigi. Dopo un soggiorno a Berlino, lo scoppio della guerra la convince a trasferirsi a Zurigo, dove la accoglie il vivace ambiente dadaista del Cabaret Voltaire. L’alleanza artistica e sentimentale con Jean Arp è il grimaldello che scardina il rassicurante mondo della figurazione, nel quale ancora Hilda si muove, nonché il lasciapassare per nuovi, folgoranti incontri, fra cui quello con Herwarth Walden, animatore dell’esperienza della galleria berlinese Der Sturm. Proprio nella galleria, nel 1917, Hilla incontra Rudolf Bauer, cui sarà legata da un rapporto sentimentale appassionato e burrascoso.
In questa stagione Hilla lega il suo nome all’avanguardia espressionista, esponendo nel 1918 alla prima mostra della Novembergruppe e nel 1919 presso Der Sturm. Finita la guerra, si trasferisce con Bauer a Berlino, dove frequenta le personalità di punta della ricerca artistica (Viking Eggeling, Kurt Schwitters, Max Ernst) approfondendo la sua personale ricerca sull’astrattismo e fondando il gruppo Die Krater. In questo stesso periodo si accentua il suo interesse verso le discipline orientali.
Gli anni che seguono sono difficili sia sul piano della salute che su quello del rapporto con Bauer: dopo un ricovero in sanatorio e un lungo viaggio in Italia, nel 1927 decide di partire alla volta degli Stati Uniti in compagnia della cantante Thorold Croasdale. Con pochi soldi in tasca, ma idee molto chiare in testa, la volitiva Hilla non perde tempo: dà lezioni di pittura (fra l’altro anche a Louise Nevelson) ed espone le sue opere appena ne ha l’occasione. Due di queste vengono acquistate dalla moglie di Solomon R. Guggenheim, Irene. Nel 1929 Hilla realizza il ritratto del magnate, e così, fra pettegolezzi e maldicenze, sancisce un’alleanza culturale ed economica destinata a durare a lungo e a segnare in profondità la storia dell’arte americana del Novecento.
Hilla comincia ad acquistare opere di arte non-oggettiva per conto di Guggenheim, compiendo anche diversi viaggi in Europa con lui. Bauer è il suo prezioso alleato in Germania: da qui, infatti, arriva la maggior parte delle opere che entrano nella collezione, fatto che suscita molte polemiche presso l’intelligencija newyorkese (che parla di “europeizzazione” della scena artistica americana). Dipinti di Kandinsky, Delaunay, Léger, Moholy-Nagy, Gleizes e soprattutto di Bauer entrano a far parte della collezione Guggenheim, che cresce a dismisura e che a questo punto, non bastando più l’appartamento di Guggenheim all’Hotel Plaza, ha bisogno di un degno alloggiamento.
Nel 1939, al numero 24 di East Fifty-fourth Street si inaugura con la mostra “Art of Tomorrow” il Museum of Non-Objective Painting. Già nel 1936, nel suo scritto “Definition of Non-Objective Art”, Hilla Rebay aveva spiegato che cosa fosse l’ arte non-oggettiva: se nell’arte astratta, infatti, l’oggetto era astratto, in quella non-oggettiva esso veniva del tutto negato. “Un dipinto non-oggettivo”, scriveva, “non rappresenta nessun oggetto o soggetto conosciuto sulla faccia della terra. Non è nient’altro che un’armoniosa organizzazione di colori e forme che va apprezzata in sé, nella sua pura bellezza.”
Collocato in un’ex-concessionaria di automobili, il museo, di cui Hilla viene nominata direttrice, avvia una forsennata campagna di prestiti a scuole, centri espositivi e istituzioni culturali sia negli Stati Uniti che in Europa, anche nel tentativo di battere sul tempo la nipote di Solomon, Peggy, innamorata del Surrealismo, che in quegli anni progetta di aprire un museo di arte contemporanea in Europa.
Durante la seconda guerra mondiale, Hilla ottiene un visto americano per Bauer. Accusata di essere una spia nazista (pare a seguito di dicerie alimentate dallo stesso artista, che aspira a prendere il suo posto alla direzione del museo), viene condannata agli arresti domiciliari. Solo il matrimonio di Bauer con la sua domestica, e il putiferio a colpi di insulti che ne segue, mettono fine alla perversa relazione di odio-amore fra i due.
Sempre più isolata, guardata con sospetto dall’establishment ma protetta a spada tratta da Guggenheim, Hilla sogna un edificio progettato ad hoc per la collezione. Nel 1943 contatta Frank Lloyd Wright, architetto che sente affine per il suo desiderio radicale e quasi mistico di bellezza, parlandogli di un “tempio” dedicato allo spirito dell’arte. L’anno successivo si rende disponibile in Fifth Avenue l’area su cui poi verrà edificato il museo; la collezione, nel frattempo, si sposta in una nuova sede.
Nel 1949 Guggenheim muore. Caduto il velo di protezione del potente mecenate, evapora qualunque forma di simpatia verso Hilla, che da questo momento, viene accusata da più parti di essere solo una dispotica, ambiziosa arrivista. Nel 1952 una campagna-stampa particolarmente feroce la costringe a dimettersi dal suo ruolo di direttrice. Pur continuando a esporre e tenere i contatti con l’Europa, la sua vita pubblica subisce una pesante battuta d’arresto: il suo nome non figura fra gli invitati all’inaugurazione del museo di Frank Lloyd Wright, inaugurato nel 1959. Solo una lettera dell’architetto l’avrà, forse, ricompensata dell’amarezza di quegli ultimi anni: «Cara Hilla, Mr. Guggenheim non avrebbe potuto trovare un curatore migliore e più fedele di lei. L’edificio è stato creato per lei e intorno a lei, che lei lo sappia o no. O che lui lo sappia o no».
Hilla von Rebay muore nel 1967, poco dopo aver creato la Hilla von Rebay Foundation: ultimo atto di un’incrollabile capacità di auto-rappresentazione, contro ogni invidia e maldicenza.
Hilla von Rebay
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Joan M. Lukach, Hilla Rebay: In Search of the Spirit in Art, New York, George Braziller, Inc. 1983
Sigrid Faltin, The Guggenheim and the Baroness: The Story of Hilla Rebay, 2004 (film)
Art of Tomorrow: Hilla Rebay and Solomon R. Guggenheim, catalogo della mostra presso il Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 2005
Hilla Rebay and the Museum of Non-Objective Painting, catalogo della mostra presso la DC Moore Gallery, New York, 2005
Sigrid Faltin, Die Baroness und das Guggenheim. Hilla von Rebay – Eine Deutsche Künstlerin in New York, Lengwil, Libelle Verlag 2005
Karole Vail (a cura di), The Museum of Non-Objective Painting: Hilla Rebay and the Origins of the Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Solomon R. Guggenheim Museum 2009
Anna Chiara Cimoli
Anna Chiara Cimoli (Milano, 1971) è una storica dell’arte specializzata in Museologia all’Ecole du Louvre. Dopo aver lavorato in ambito museale ed editoriale, attualmente affianca all’attività didattica la ricerca scientifica sul tema delle mostre d’arte e dei loro allestimenti. Su questo tema ha pubblicato Musei effimeri. Allestimenti di mostre in Italia 1949-1963 (Milano, il Saggiatore 2007) e, con Fulvio Irace, La divina proporzione. Triennale 1951 (Milano, Electa, 2007).