In un’intervista alla televisione americana degli anni Sessanta Joan Baez ha dichiarato: «Voglio essere ricordata innanzi tutto come attivista politica e sociale e poi come folk-singer».
In effetti, è praticamente impossibile separare, nella sua vita, la passione politica da quella musicale: questi due aspetti sono indissolubilmente intrecciati fra di loro, anche ora, a cinquant’anni dal suo debutto sulla scena musicale americana.
È nata a Staten Island nel 1941 da padre messicano e madre scozzese. Seconda di tre figlie, ha passato la giovinezza tra l’Est e l’Ovest degli Stati Uniti, poiché il padre, un professore di fisica, si spostava frequentemente. Nel documentario, uscito nel 2009 negli USA How sweet the sound, inedito in Italia, ha ricordato questo aspetto della sua adolescenza inquieta: «Mio padre doveva spostarsi di continuo, da una sede all’altra. Per noi figlie era difficile ambientarci: non riuscivamo a farci degli amici perché passavamo da un trasloco all’altro». Ancora ragazzina Joan ha sperimentato sulla propria pelle la discriminazione, spesso infatti veniva canzonata dai compagni di scuola per il colore della sua pelle. «Non è facile essere una principessa negli USA se la tua pelle è scura», cosi scrisse molti anni dopo in una canzone affinché questo messaggio giungesse a molte orecchie.A dieci anni trascorse un anno, insieme alla famiglia, a Baghdad, dove il padre aveva ricevuto da parte dell’UNESCO l’incarico di creare un laboratorio di fisica all’Università. Questa esperienza la segnò profondamente; in numerose interviste ha affermato che la povertà e la miseria viste a Baghdad avevano contribuito a far sorgere in lei una coscienza civile. Nel 1958 i Baez si trasferirono nella zona di Boston. Joan si iscrisse all’Università, ma la lasciò presto per dedicarsi completamente alla musica. Aveva imparato dalle sue compagne di studi a suonare la chitarra e frequentava i numerosi coffee shop sorti un po’ ovunque nella zona di Harward Square, a Cambridge. In questi locali i giovani universitari si incontravano per ascoltare musica folk, mentre sorseggiavano tè o caffè: era un ambiente decisamente intellettuale.
La sua carriera, profondamente legata al revival della musica folk, che raggiunse nei primi anni Sessanta il suo apice, ebbe inizio al Club 47, a Cambridge, Massachussets. La sua prima apparizione sulla scena musicale nazionale avvenne nel 1959, quando fu invitata da Bob Gibson a partecipare al Festival folk di Newport. Ebbe enorme successo, tanto da ottenere che la Vanguard le facesse incidere il suo primo disco. Aveva solo diciannove anni, era il 1960; Negli anni Sessanta la Baez, in piedi sul palco, spesso a piedi nudi, e con i lunghi capelli sciolti sulle spalle, era chiamata la “madonna del folk” e la “regina della folk music”. Il suo repertorio era composto da lunghe, tristi ballate che affondavano le loro radici nel vastissimo patrimonio del folklore americano, raccolto da Francis Child e da Alan Lomax. Le sue interpretazioni di Barbara Allen, All my trials, Geordie, Mary Hamilton fanno parte della storia della musica folk.
Nel 1961 Joan Baez conobbe Bob Dylan, allora ancora sconosciuto al grande pubblico e per qualche anno intrecciò la sua carriera e la sua vita con quelle dell’originale vagabondo. Il suo repertorio di pura musica folk si ampliò grazie alle splendide canzoni di Bob Dylan: Dylan le mise a disposizione un arsenale di canzoni fortemente politicizzate che riuscivano ad esprimere la visione politica che Joan sentiva, ancora in modo confuso dentro di sé. Una delle prime composizioni di Dylan che Joan Baez inserì nel suo repertorio è With God on our side, una splendida, lunghissima ballata contro la guerra. Famosa è rimasta la loro apparizione il 28 luglio 1963 al Festival Folk di Newport, quando cantarono, insieme ad altri artisti, tra cui Pete Seeger, We shall overcome, l’inno della lotta per i diritti civili. Un altro momento particolarmente rilevante del loro sodalizio musicale avvenne durante la famosa marcia su Washington il 28 agosto 1963, quando Martin Luther King pronunciò il suo discorso “I have a dream…” e tutti insieme, bianchi e neri, intonarono We shall overcome: il sogno si sarebbe avverato più di quarant’anni dopo con l’elezione di Barack Obama. Ma da quel momento in poi Dylan si allontanò progressivamente dalla politica attiva, Joan Baez al contrario restò sempre fedele ad un discorso politico imperniato sul rifiuto della violenza e della guerra. Sono rimasti famosi i suoi concerti nel Sud degli USA, dove ancora c’era la segregazione razziale e la Baez pretendeva di esibirsi di fronte ad un pubblico misto, di bianchi e neri. E ancora quando marciò insieme a Martin Luther King nel profondo Sud, per favorire l’integrazione dei bambini di colore nelle scuole.
In quello stesso periodo, tra il 1962 e il 1963, Joan Baez fece conoscere Bob Dylan al grande pubblico: mentre lei era già famosa, lui era ancora agli esordi della sua straordinaria carriera. Le loro strade si divisero nel 1965, per ragioni politiche e personali. La loro separazione, che coincise con un netto cambiamento della rotta musicale da parte di Dylan, è immortalata nel film Don’t look back. I due si rincontreranno dieci anni dopo, ai tempi della Rolling Thunder Revue, un tour ideato da Dylan, assai riuscito musicalmente, e poi ancora durante una serie di concerti in Europa nel 1984. Dall’incontro con Dylan, la Baez uscí profondamente arricchita sul piano musicale; le sono rimaste in eredità alcune canzoni del poeta, autentici gioielli, scritte per lei: Farewell Angelina e Love is just a four letter word che ancora oggi fanno parte del suo repertorio.
Joan Baez, con grande coerenza, ha continuato a manifestare e a marciare, nella convinzione che le canzoni potevano cambiare il mondo. Fu alla testa del movimento di protesta che si sviluppò contro la guerra del Vietnam e per questo fu arrestata due volte nel corso del 1967. Nel 1968 ha sposato uno dei leader del movimento contro la leva obbligatoria, David Harris, da cui ha avuto un figlio, Gabriel. Questo matrimonio è durato tre anni.
Durante l’escalation della guerra in Vietnam, nel Natale del 1972, si è recata ad Hanoi, dove ha assistito ad uno dei bombardamenti più violenti scatenati dall’amministrazione Nixon. Questa esperienza è confluita nell’album Where are you now my son? che rappresenta, forse, il momento più alto dell’intreccio tra musica e politica perseguito con ostinazione dalla Baez. Se la sua carriera musicale ha subito una battuta d’arresto, soprattutto negli anni Ottanta, non è mai diminuito il suo impegno politico e sociale. Joan Baez ha continuato ad esprimere la sua solidarietà nei confronti di tutti coloro che soffrivano a causa di governi totalitari: ha cantato per i cileni, per le madri dei desaparacidos in Argentina, per Sacharov e sua moglie Yelena Bonner, per Vaclav Havel per i boat people della Cambogia e, in anni più vicini a noi, per gli abitanti della Bosnia e dell’Iraq.
Da un punto di vista musicale Joan Baez non è mai stata una vera e propria cantautrice, anche se si è cimentata in questo ambito, ma piuttosto una straordinaria interprete.
Ha ricevuto nel 2007 il Grammy alla carriera e il suo ultimo CD, The day after tomorrow, è stato giudicato il miglior disco folk del 2009. Oggi grazie alle cover di giovani compositori, tra cui Steve Earle, che l’hanno fatta conoscere ad un pubblico giovane, e alla ripresa di un movimento contro la guerra in Iraq e a favore dell’elezione di Barack Obama, la musica di Joan Baez ha conosciuto una primavera che per una signora di ormai settanta anni rappresenta un successo. Ora, come lei stessa ammette, si sente assai più libera rispetto agli anni Sessanta, meno nevrotica e prova un’autentica gioia nello stare sul palco. Ma ha anche riscoperto la famiglia: trascorre molto tempo con sua madre, che ha 97 anni, e con la sua nipotina. In una immagine recente Joan Baez, allo spettacolo di beneficenza per la scuola della sua nipotina, intona insieme alla bambina Farewell Angelina. Suo figlio, il padre di Jasmine, suona la batteria: tre generazioni unite sul palco.
Riguardo a Dylan, continuamente evocato durante i concerti con la canzone Diamonds and rust, forse in assoluto la più bella composizione della Baez, oggi dice:«A quanti mi dicono che il mio nome sarà sempre legato al suo, rispondo che è un bel modo per essere ricordata».
[continua…]