Marija Gimbutas

Vilnius (Lituania) 1921 - Los Angeles 1994
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È esistita in Europa una civiltà diversa, precedente a quella indoeuropea? Questo interrogativo ha ispirato la vita e l’opera dell’archeologa lituana Marija Gimbutas, la quale, attraverso un approccio interdisciplinare da lei denominato mitoarcheologia, ha gettato nuova luce sulla civiltà arcaica dell’Europa Antica, periodo che va dal 7.000 al 3.500 a.C.
La sua prospettiva ha rivoluzionato gli studi relativi alle origini della cultura europea, individuando una civiltà che dominò l’Europa per tutto il paleolitico ed il neolitico, e l’Europa mediterranea fino a gran parte dell’età del bronzo. Una cultura per millenni pacifica, con una struttura sociale egualitaria e matrilineare, legata ai cicli vitali della terra, un simbolismo religioso strettamente connesso al femminile, a cui poi è succeduta una cultura diversa, patriarcale, bellicosa, di matrice indoeuropea, sviluppatasi fino ai nostri giorni così come noi la conosciamo.
Marija nasce a Vilnius, in Lituania, in un contesto familiare culturalmente molto fervido. I genitori, entrambi medici, sono impegnati nella difesa del patrimonio artistico lituano distrutto da decenni di oppressione degli zar russi. La madre, primo medico donna nella storia lituana, e il padre, anche editore e storico, aprono nel 1918 il primo ospedale a Vilnius, e, dopo l’invasione polacca prima e tedesca poi, decidono di educare Marija in una scuola privata da loro fondata nel rispetto delle tradizioni lituane. Marija conosce la sua cultura studiando l’arte, la musica, la lingua lituana, una cultura strettamente connessa con i cicli naturali, nella quale il cristianesimo penetra tardivamente, lasciando sussistere nel folklore e nella mitologia elementi pre-indoeuropei. «Quando sono nata in Lituania, c’erano ancora il cinquanta per cento dei pagani» dichiara in una intervista. «Nella mia infanzia sono stata esposta a molte cose che erano, direi, quasi preistoriche». [1]
Il padre muore quando lei ha 15 anni. Scossa da questo evento, decide di continuare il lavoro paterno studiando le credenze sulla morte e sui riti funerari precristiani. A 16 anni partecipa alla prima spedizione etnografica, dove lei stessa registra più di 5mila canti popolari, una tradizione orale legata alle origini della cultura antica. Nel ‘39 c’è l’invasione tedesca cui segue quella sovietica. La visione materialistica del comunismo mal si sposa con la cultura lituana e iniziano le deportazioni di massa in Siberia. Spariscono 25 membri della famiglia di Marija, che si unisce alla resistenza ed alla lotta politica. In questo clima, nel ’42 riesce a laurearsi in archeologia. Successivamente si sposa con Jurgis, anche se, dichiarerà poi «non ero pronta per il matrimonio» [2] e avrà la prima figlia. Dopo tre anni è costretta a fuggire in Austria, «con mia figlia in braccio, la mia tesi nell’altro. Nulla di più» [3] e, prima di rifugiarsi negli Usa nel 1949, ottiene il dottorato in filosofia dell’archeologia presso l’università di Tubingen, in Germania. Nel ‘47 nasce la seconda figlia.
Mentre il marito trova lavoro come ingegnere a Boston, viene scelta come ricercatrice alla Harvard University per la sua vasta conoscenza delle lingue europee: unica archeologa ad avere una preparazione interdisciplinare in storia delle religioni, etnologia, studi linguistici. Ma non viene pagata. Anche quando esce il suo libro La preistoria nell’Europa dell’est non riceve nessun riconoscimento e nessuna royalties. Viene successivamente assunta come traduttrice in lingue slave nella stessa facoltà. Nel mentre nasce la terza figlia. Racconta di quegli anni:«Ad Harvard non c’era nessuna prospettiva per una donna. Sarei potuta restare come ricercatrice o lettrice, ma probabilmente non sarei mai diventata un professore. Negli anni ‘50 come membro dello staff potevo frequentare i club della facoltà solo accompagnata da uomini. Così non potevo restare. Odiavo una simile situazione» [4]. Nel 1963 le viene offerta la cattedra di Archeologia all’Università di Los Angeles, dove si trasferisce dopo aver divorziato dal marito, e dove rimane fino al 1989, anno della sua pensione.
Inizia un periodo felice per Marija. Pubblica decine di articoli accademici, il suo quarto libro I baltici. Nel 1965 pubblica il volume L’età del bronzo nell’Europa centrale ed orientale. Questi suoi primi studi la rendono archeologa di fama mondiale.
Fondamentali per l’evoluzione della sua visione sono le campagne di scavo avvenute dal 1968 al 1980 nel bacino del Danubio, in Grecia e in Italia, che le permettono di indagare sulla cultura europea precedente all’influenza indoeuropea, periodo che lei definisce “Europa Antica”. Attraverso questi scavi vengono rinvenuti più di duemila manufatti, tra cui centinaia di statuette in pietra, avorio e terracotta di figure femminili, databili dal 6300 al 2000 A.C.
Attraverso un ostinato ed instancabile lavoro di classificazione e codificazione, e con quell’ approccio interdisciplinare da lei creato che connette linguistica, religioni comparate, mitologia, studio di documenti storici, folklore, riesce a descrivere i tratti salienti della struttura simbolica dell’Antica Europa. In questa civiltà predomina la figura di una grande Dea partenogenetica (che si autogenera) e la celebrazione della vita è il motivo dominante.
Il suo lavoro preliminare risulta nel libro Gods and Goddesses of old Europe (1974, ripubblicato nel 1982 con il titolo originale Goddesses and Gods of old Europe).
Marija scopre che i popoli arcaici utilizzano un complicato simbolismo religioso, che la forma femminile riflette la centralità delle donne nella vita culturale e religiosa. Le immagini di Dee femminili e Dei maschili, sia antropomorfi che zoomorfi, esprimono una partecipazione sacra nei grandi cicli naturali di fertilità, nascita, morte e rigenerazione.
La concezione del tempo è ciclica, non lineare. Questa civiltà non conosce l’uso delle armi, pur avendo già sviluppato la metallurgia. Gli insediamenti sono posti in pianura e lungo i corsi d’acqua; nelle sepolture non vi sono distinzioni di rango: se ne deduce quindi una società che si sviluppa in grandi centri – anche di 15.000 abitanti- tendenzialmente egualitaria.
«È stata una rivelazione vedere che una cultura successiva è stata meno avanzata di una più antica. L’arte è incomparabilmente inferiore a quella che c’era prima, ed è esistita una civilizzazione di tremila anni almeno, prima che fosse distrutta»[5]. Infatti, ad un certo punto, a partire dal V millennio A.C., ha inizio la prima ondata di popoli indoeuropei provenienti dal bacino del Volga, nel sud della Russia, quella che lei definisce cultura Kurgan (dal russo “tumulo”, perché i morti venivano sepolti in tumuli circolari che coprivano le dimore funebri dei maschi importanti). La struttura sociale di queste genti è gerarchica, patriarcale, patrilineare e guerriera. Sono popolazioni semi-nomadi, possiedono armi letali (arco e freccia, lancia e daga) e cavalli addomesticati. In varie ondate, nel corso dei millenni, avviene l’ibridazione dell’antica cultura europea, sedentaria, pacifica, gilanica (termine proposto da Riane Eisler per le strutture sociali in cui c’è uguaglianza tra i sessi, gy-, da gynè, donna e an- da aner, uomo ed L come legame tra le due metà dell’umanità) che termina tra il 4300 e il 2800 a.C. con la sua trasformazione da matrilineare a patrilineare e androcratica.
I temi principali relativi a queste ricerche su arte, simbologie e religione dell’Europa Antica sono contenuti nel libro Il Linguaggio della Dea 1989.
La visione di Marija Gimbutas ha provocato una spaccatura nel mondo accademico e non. E fortemente influenzato il pensiero femminista, il mondo artistico e moltissimi storici e archeologici, anche se non mancano i detrattori che negano in parte o del tutto la sua teoria.
Secondo Joseph Campbell, studioso di mitologia comparata e religione comparata, il valore dell’opera della Gimbutas si può paragonare alla decifrazione della Stele di Rosetta, grazie alla quale si riuscì ad interpretare il pensiero religioso dell’antico Egitto: «Marija Gimbutas è stata in grado non soltanto di elaborare un repertorio basilare di elementi figurativi ricorrenti quali chiavi interpretative della mitologia di un’epoca mai documentata, ma anche di fissare, sul fondamento di questi segni decodificati, le linee peculiari ed i principali contenuti di una religione che venerava sia l’universo in quanto vivente corpo della Dea-Madre Creatrice, sia tutto ciò che vive al suo interno perché partecipe della sua divinità» [6].
Merito della Gimbutas è di aver riportato alla luce la presenza femminile nella visione del sacro, che per molte donne ha avuto, per usare le parole di Luciana Percovich «l’effetto insieme destabilizzante e potentemente energico dell’irruzione del rimosso» [7].Nel 1991 esce il suo ultimo libro, La civilizzazione della Dea, compendio di tutta la sua opera.
Muore a Los Angeles il 2 febbraio 1994.

NOTE
1.Dal Sito Anarchopedia: Marija Gimbutas su Dea Madre, Indo-Europei, nascita e sviluppo del patriarcato.

2. dal documentario Signs out of time realizzato nel 2004 da un gruppo di amiche e compagne di strada di Marija Gimbutas, per ricordarla a dieci anni dalla sua morte.

3. dal documentario Signs out of time realizzato nel 2004 da un gruppo di amiche e compagne di strada di Marija Gimbutas, per ricordarla a dieci anni dalla sua morte.

4. dal documentario Signs out of time realizzato nel 2004 da un gruppo di amiche e compagne di strada di Marija Gimbutas, per ricordarla a dieci anni dalla sua morte.

5.Dal Sito Anarchopedia: Marija Gimbutas su Dea Madre, Indo-Europei, nascita e sviluppo del patriarcato.

6. Il linguaggio della Dea, Marija Gimbutas, prefazione.

7. Dal sito Carte Sensibili:Marija Gimbutas, Signs out of time di Luciana Percovich.

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Fonti, risorse bibliografiche, siti

M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Le civette di Venexia, 2008

Il sito a lei dedicato

Belili Productions:featuring the documentary on the life and work of Marija Gimbutas

Signs out of time, Documentario di Donna Read e Starhawk, narrato da Olimpia Dukakis

Eleonora Isgrò

Laureata in Scienze politche alla Sapienza di Roma nel 2004 con una tesi in lingua inglese sull'analisi delle strutture lessicali e foniche del warspeak, il linguaggio della guerra, È giornalista pubblicista dal 2010. Dopo varie esperienze come addetta stampa, collabora per varie riviste, anche online,occupandosi principalmente di esteri. I suoi interessi sono la storia, le antiche culture matriarcali, il femminile, l'ecologia, le lingue.

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