Amina Wadud è la più prestigiosa esponente del femminismo islamico contemporaneo.
Afro-americana, nacque come Mary Teasley in una famiglia cristiana a Bethesda nel Maryland (USA) il 25 settembre. Il padre era un pastore metodista, ma sembra che questo non abbia particolarmente inciso sulla sua formazione. Ancora molto giovane, nel 1972, Mary pronunciò la shahada o professione di fede e divenne musulmana, assumendo due anni dopo il nome di Amina Wadud (tutti i neoconvertiti all’Islam cambiano almeno il nome se non il cognome). È solo quindi dopo la conversione che Amina si dedicò agli studi islamici. Frequentò le Università del Cairo, tanto l’American University ottenendo un diploma in lingua araba, quanto l’Università “statale” e inoltre la più importante Università religiosa del mondo sunnita, l’Azhar, dove studiò esegesi del Corano e filosofia islamica. Il PhD in studi arabo-islamici lo acquisì all’Università del Michigan nel 1988. La sua carriera accademica non è stata molto lunga, ma le ha dato visibilità. Amina è stata Assistant Professor all’International Islamic University in Malaysia dal 1989 al 1992; Professor di studi islamici alla Virginia Commonwealth University dal 1992 al 2008, dopo di che si è ritirata dedicandosi interamente alla ricerca. Ha ricoperto incarichi di visiting Professor in vari atenei in tutto il mondo, tra i quali la Gadja Mada University di Yogyakarta in Indonesia. L’attività di studiosa non le ha impedito di essere moglie e madre di ben cinque figli.
Amina Wadud è una pasionaria dell’Islam e ha cercato in ogni modo di superare le barriere di genere. Due atti soprattutto l’hanno proiettata al centro delle cronache. Nel 1994, a Cape Town in Sud Africa, ha tenuto un sermone del venerdì (khutba) in occasione di una preghiera pubblica. E soprattutto nel marzo 2005, a New York, ha guidato la preghiera di un gruppo misto di oranti, uomini e donne insieme, svolgendo la funzione di imam, in una chiesa che aveva accettato di ospitarla dopo che tre moschee avevano declinato l’invito. Sia la predicazione o khutba sia la guida della preghiera sono in teoria funzioni rigorosamente riservate agli uomini, per cui si può capire tutta l’audacia e la provocatorietà del gesto di Amina Wadud. Le proteste degli ambienti tradizionalisti sono state accese e alcuni fanatici sono giunti al punto di minacciarla di morte. Amina non ha tuttavia mai rinnegato le sue convinzioni e ha continuato a combattere la sua battaglia: reinterpretare l’Islam alla luce delle lotte per la liberazione della donna.
Wadud ha pubblicato nel 1992 un libro epocale, Qur’an and Woman. Rereading the Sacred Text from a Woman’s Perspective, libro che le ha dato notorietà internazionale. Nella prefazione, impostando metodologicamente il suo lavoro, Amina ha affermato che non si tratta in senso proprio né di un libro sull’Islam e la donna e neppure di un libro sul Corano e la donna, quanto piuttosto di uno studio “di genere” che si lega alla tradizione dei cultural studies. È ben noto come il concetto di gender in inglese sia ben più ampio di quello che attiene a una mera differenza sessuale, avendo implicazioni sociali, culturali e perfino politiche. Come altre femministe musulmane contemporanee, Amina Wadud ritiene che la religione islamica in sé e il Corano in particolare non siano responsabili del maschilismo imperante nel mondo musulmano che ha ragioni soprattutto storiche. Al contrario, il Corano fa del maschio e della femmina due esseri del tutto equivalenti e, inoltre, non parla in nessun modo di Dio secondo qualificazioni di tipo “sessuale” (Dio non è né maschio né femmina). Laddove, secondo Amina, il Dio cristiano sarebbe dichiaratamente maschile, il Dio islamico nella sua trascendenza travalica le differenze di genere, e, inoltre, i suoi attributi di clemente e misericordioso (rahman e rahim) lo connettono piuttosto al genere femminile in quanto la radice verbale rhm rimanda al grembo materno. Onde sviluppare il suo gender discourse Amina Wadud si giova di due approcci esegetici, il primo linguistico, e il secondo strettamente ermeneutico e fondato su una lettura non atomistica, ma tematica del testo sacro. Una lettura filologica del Corano che non sia pregiudizialmente indirizzata a giustificare la subordinazione della donna può infatti condurre a una interpretazione dei testi coranici più scabrosi maggiormente favorevole a una parità di dignità tra uomo e donna. Per esempio, quando il Corano dice che i mariti possono “daraba” le mogli (Corano, 4: 34), non intende dare loro il permesso di picchiarle (uno dei significati del verbo daraba), bensì suggerire loro di “portare esempi” istruttivi alle donne (daraba, soprattutto nel linguaggio coranico, significa anche “avanzare esempi”).
D’altro canto, la chiave ermeneutica orientata in senso gadameriano chiarisce il rapporto che si instaura tra il testo e il suo lettore: ogni lettura, infatti, riflette in parte le intenzioni del testo e in parte l’apriori di colui che effettua la lettura. Ogni esegeta opera scelte soggettive: alcuni dettagli dell’interpretazione riflettono le sue scelte soggettive e non necessariamente le intenzioni del testo. Ciò consente, da un lato, di minimizzare l’importanza delle interpretazioni conservatrici, e, dall’altra, di non rimanere vincolati alla lettera della rivelazione. Il metodo di Amina Wadud si fonda poi su altri due presupposti: commentare il Corano col Corano, una preoccupazione costante degli esegeti musulmani del Libro sacro fin dal Medioevo, e accostarsi al testo “dal di fuori”, cioè mantenere, rispetto ad esso, una lontananza nello spazio, nel tempo e nella cultura, onde salvaguardare quella oggettività di approccio che si svincola dalle contingenze storiche.
Amina Wadud difende una concezione dell’Islam come “resa impegnata” (engaged surrender) alla volontà di Dio, implicando cioè un atteggiamento non passivo ma attivo, che si traduce appunto in un impegno sociale e civile in obbedienza alle leggi di Dio. Dio ha reso l’essere umano suo “vicereggente” o khalifa nel senso che gli ha concesso libero arbitrio, volontà e capacità di agire: queste caratteristiche sono proprie di entrambi i generi, maschile e femminile, ma in primo luogo delle donne. Si tratta dunque di un approccio fortemente attivistico alla religione; e, dal punto di vista femminile, Amina Wadud lo ha chiamato “un jihād di genere”.
Mary Teasley
detta Amina Wadud
Fonti, risorse bibliografiche, siti
A. Wadud, Qur’an and Woman. Rereading the Sacred Text from a Woman’s Perspective, Oxford University Press, New York and Oxford 1999 (prima edizione 1992). Trad. It, Il Corano e la donna, Effetà Edizioni, Torino 2011
A. Wadud, Inside Gender Jihad, Oneworld, Oxford 2006
A. Barlas, Amina Wadud’s Hermeneutics of the Qur’an: Women Rereading Sacred Texts, in S. Taji-Farouki (a cura di), Modern Muslim Intellectuals and the Qur’an, Oxford University Press, New York and Oxford 2004
M. Campanini, The Qur’an: Modern Muslim Interpretations, Routledge, London and New York 2010
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Massimo Campanini
Ha insegnato nelle Università di Urbino, Milano, Napoli l’Orientale e attualmente è professore di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento. Si occupa prevalentemente di studi coranici, di pensiero politico e di movimenti islamici radicali. Tra le sue pubblicazioni: la curatela dell’Incoerenza dell’incoerenza di Averroè (Utet 1997) e gli Scritti politici di Alfarabi (Utet 2005); The Qur’an: Modern Muslim Interpretationsz (Routledge 2010); Ideologia e politica nell’Islam (Mulino 2008); L’alternativa islamica (Bruno Mondadori 2012).