Nata nel 1913 da una famiglia della buona borghesia bresciana (il padre, Clateo, di origini svizzere, è ragioniere; la madre, Amelia Carugati, è insegnante), dopo aver frequentato il Liceo Ginnasio Arnaldo (dove in quegli stessi anni studia anche Vittorio Sereni) s’immatricola nel 1931 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Milano; suoi compagni di studi sono, tra gli altri, Antonia Pozzi – che Nella conosce e dichiara di ammirare –, Vittorio Sereni, Luciano Anceschi, Maria Corti. Si laurea con Benvenuto Terracini – legandosi però anche ad Antonio Banfi – discutendo una tesi dedicata ai dialetti della Valcamonica. Importante, per Nella Berther, è il precoce legame – culturale, e ancor prima etico – con la montagna, con particolare riguardo proprio alla Valcamonica. Esso affiora, oltre che nelle pagine diaristiche risalenti al 1929, nel romanzo Pan di ségale, dove la presenza della montagna e della civiltà di montagna, nel suo contrasto con la civiltà cittadina, emerge (come nell’opera di Antonia Pozzi, cui soprattutto la poesia della Berther deve molto) in tutta la sua cifra materna e, più ampiamente, femminile.
In seguito alla laurea si dedica all’insegnamento (dapprima presso il Ginnasio Arnaldo e successivamente presso l’Istituto Magistrale di Brescia), alla critica letteraria (collabora alla rivista bresciana «Humanitas» e con riviste pedagogiche quali «Studium» e «Scuola Italiana Moderna») e, in segreto, alla poesia, redigendo anche un cospicuo corpus diaristico. Scrittrice (esce nel 1950 il romanzo Pan di ségale), traduttrice, curatrice e compilatrice, tra gli altri, di volumi per la scuola media e di edizioni scolastiche, animatrice culturale (presso l’Università Popolare Lunardi e la sezione bresciana del Soroptimist), presidente e consigliere del «Circolo di Cultura», collabora con figure di spicco della cultura cattolica come Giulio Bevilacqua, Giuseppe De Luca e Cesare Angelini, pur intessendo un dialogo anche con intellettuali di differente estrazione politica e ideologica, in ossequio alla sua formazione laica presso l’Università di Milano.
Muore dopo lunga malattia nel 1972, poco dopo aver dato alle stampe la raccolta poetica (ripubblicata con ampliamenti nel 1975 per cura degli amici Alberto Frattini e Attilio Franchi) Se la strada finisce. La sua opera complessiva attende una attenta rivalutazione e una analisi accurata, pur non mancando, in anni recenti, studi di notevole valore, tra i quali una tesi dottorale (recentemente pubblicata) che riguarda i diari inediti. Affiora, alla superficie dell’opera (soprattutto alla luce del recente contributo offerto da Paola Napolitano, di cui infra), la fisionomia di una donna cattolica, aperta al dialogo (nella Brescia, peraltro, percorsa dal rinnovamento culturale ed ecclesiale montiniano), antifascista, “scomoda” nel suo strenuo impegno pedagogico che (lascito ideale dell’insegnamento ricevuto presso l’ateneo milanese) andava oltre il nozionismo e si espandeva (à la Antonio Banfi?) alla vita.
Immagine: Nella Berther seduta accanto a Eugenio d’Ors. Brescia, 23 aprile 1952 (fonte: Universidad de Navarra)