Con le sorelle Benita, più grande, e Hazel, più piccola, Marguerite detta Maggie (diventerà Peggy solo verso i vent’anni) nasce dall’incontro di due fresche e prolifiche dinastie prima mercantili e poi industriali e capitalistiche statunitensi, i Seligman da parte di madre e i Guggenheim da parte di padre. Per avere un’idea della filosofia di famiglia, può essere utile riportare un detto di James Seligman: «Vendere qualcosa che hai a chi ne ha bisogno non è fare affari. Vendere qualcosa che non hai a chi non ne ha bisogno, quello è fare affari!»
Entrambe le dinastie, di antico ceppo ebraico – i Seligman originari di Baiersdorf presso Norimberga, in Baviera, i Guggenheim di Lengnau nel Cantone Argovia, in Svizzera – mettono le loro nuove radici dall’altra parte dell’Atlantico nella prima metà dell’Ottocento, a distanza di un decennio una dall’altra, conseguendo un rapido incremento di ricchezza e di livello sociale, pur nel chiuso di relazioni tra soli correligionari.
L’ambiente famigliare degli ebrei è estremamente protettivo nei confronti della società borghese americana, la società gentile, alla quale è naturalmente teso per scelta di emigrazione, ma dalla quale è altrettanto naturalmente separato da un istinto basato su secoli di persecuzione. Il ponte che le famiglie Seligman e Guggenheim scelgono di stabilire con il tessuto sociale circostante, insieme con altre grandi famiglie ebree come i Lehman e i Kahn, passa da una particolare distinzione nel contribuire alle arti e nel favorire iniziative filantropiche. Questo spiega la sostanziale predestinazione di Peggy a trovare una sua personale soluzione ai problemi esistenziali proprio nel mecenatismo artistico, soluzione che arriva nel mezzo della sua vita, nel 1938, l’anno dopo la creazione della Solomon R. Guggenheim Foundation, l’iniziativa parallela e più nota del solido zio paterno Solomon, magnate delle miniere, nonché titolare del più importante museo americano di arte moderna, realizzato con l’aiuto di Hilla von Rebay.Peggy nasce il 26 agosto in un appartamento dell’Hotel Majestic, dove vivono in quel momento i genitori, Benjamin e Florette, in attesa del trasferimento in un rinnovato palazzo di pietra calcarea dell’Upper East Side, presso il Central Park. Per lei, una casa immensa e spettrale, dove alle tre sorelle viene riservato il quarto piano, dal quale parte la “ripida e buia” scala che porta alle stanze della servitù. A Peggy resterà sempre un senso di orrore per il contrasto tra il lusso dei padroni e la relativa miseria dei servi.
Peggy è una bella bambina dal volto ovale e dai vivaci occhi azzurri, forse col naso un po’ grosso, cosa di cui è molto cosciente e dispiaciuta. Non risulta che abbia amicizie, forse perché la famiglia, anziché mandarle a scuola, preferisce riservare alle figlie una educazione privata e una istitutrice, Mrs. Hartman, che le accompagna nelle escursioni annuali in Europa, in visita a musei e alla scoperta delle culture francese e britannica. Le tre ragazzine hanno una vita strana: non conoscono il cinema, semplicemente perché non c’è nessuno che possa o voglia accompagnarle allo spettacolo preferito dalle classi lavoratrici, conoscono benissimo Wagner dai dischi e dalle esecuzioni domestiche, ma ignorano il popolarissimo jazz del primo ventennio del Novecento. Adorano il padre, l’elegante Benjamin, che però si assenta sempre più a lungo dai suoi doveri domestici, apparentemente per viaggi di lavoro. Manca da ben otto mesi quando, in viaggio verso casa accompagnato dall’ultima amante, Ninette (che si salva), muore inabissandosi col Titanic nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912. Benjamin lascia la famiglia in seri problemi finanziari, ma la solidarietà degli zii Guggenheim e, qualche anno più tardi, una consistente eredità dal patriarca Seligman, James, consolidano la ricchezza in casa di Peggy, nonostante lei si senta una parente povera.
Il naufragio del Titanic è una tragedia epocale, e Peggy non risolve mai del tutto la perdita, tanto da scrivere «In un certo senso non mi sono mai ripresa, visto che da allora sono sempre stata in cerca d’un padre».
Molto presto Peggy decide di volersi sottrarre al destino di giovane ebrea di origini germaniche, ma intanto viene iscritta da Florette alla scuola Jacobi, semplicemente perché così fanno le altre famiglie ebree ricche. In questo periodo post-vittoriano non riceve educazione sessuale dalla famiglia o dalla scuola, ma si interessa attivamente presso la servitù per apprendere il possibile, particolarmente in occasione del parto clandestino di una cameriera, che uccide il suo bimbo illegittimo strangolandolo con il cordone ombelicale. Impara anche che con denaro sufficiente le azioni possono non avere conseguenze: la cameriera viene infatti dichiarata pazza dal medico di famiglia dei Guggenheim per evitarle la prigione. Peggy si diploma alla scuola Jacobi, ma a sedici anni è indecisa sulla strada da intraprendere. Non entra in un college, ma si affida a insegnanti privati di storia, economia, lingua italiana. Viene in particolare influenzata da Lucile Kohn, che le insegna economia e scienze politiche, ma che, sostenitrice del neoeletto presidente Woodrow Wilson, la tiene soprattutto informata sulla attualità politica. Peggy passa senza personali sofferenze il periodo della prima guerra mondiale, salvo collezionare un nuovo complesso d’inferiorità, vedendosi rifiutare assieme alle sorelle e a Florette il soggiorno in un albergo del Vermont, in quanto “israelite”. Non si sente a casa sua né nel palazzo newyorkese né altrove in America, e la sensazione si ripeterà quando sarà ancora costretta a soggiornare negli Stati Uniti, durante la seconda guerra mondiale. Debutta in società nel 1916 dando una gran festa per l’anno bisestile alla Tent Room del Ritz di New York, e inaugurando così una catena di partecipazioni a feste e uscite serali con “adatti” ragazzi ebrei, solo per sentire acuirsi l’alienazione e percepire quel tipo di vita come idiota. Al finire della guerra cade in un periodo di depressione, superato con l’aiuto dell’infermiera che aveva assistito il nonno Seligman.
A ventun anni, nel 1919, Peggy può entrare in possesso dell’eredità del nonno: 450.000 dollari, pari a quasi sei milioni di dollari attuali, che lei considera una “piccola fortuna” confrontata alle fortune degli zii Guggenheim, più prudenti del defunto papà. Piccola, ma sufficiente per renderla indipendente e in grado di cambiare direzione alla sua vita, a cominciare dalla gente che sceglie di frequentare e da ciò che sceglie di fare, in un disordinato crescendo: viaggia per gli Stati Uniti in lungo e in largo, fa l’infermiera di un dentista e l’impiegata nella libreria del cugino Harold Loeb, il Sunwise Turn. Quando i commessi sono in pausa pranzo vende lei stessa i libri, accontentandosi di uno sconto del dieci per cento sui molti che a sua volta acquista. La letteratura moderna, letta avidamente, fa parte del suo corso accelerato per entrare in una qualche sintonia col mondo. Al Sunwise Turn incontra Laurence Vail, il suo primo uomo. Lo perde di vista velocemente, per ritrovarlo a Parigi nel corso del suo primo onnivoro viaggio autonomo in Europa. Ha ventitré anni e il peso della verginità: «Tutti i miei corteggiatori erano disposti a sposarmi, ma erano così rispettabili che non mi avrebbero mai violentata». Vail è l’uomo giusto, ed è lui, incredulo e provato, ad accontentare Peggy, che chiede di essere amata in tutte le posizioni studiate in una sua raccolta di foto degli affreschi di Pompei. Grazie a Laurence, Peggy conosce scrittori e artisti americani ed europei. Presto fa amicizia con Djuna Barnes, la futura autrice di Nightwood, e comincia a sostenerla economicamente. Nel 1922, alla fine di lunghi tira e molla e incertezze da entrambe le parti, Laurence e Peggy si ritrovano sposati a Parigi, e Peggy prova vera felicità nella semplice vita di Capri, meta del loro viaggio di nozze. Da Laurence avrà i suoi due figli, Sindbad nel 1923 e Pegeen nel 1925.
L’amicizia con Djuna Barnes segna l’inizio della storia pubblica di Peggy, che è la storia di chi non avrebbe avuto la stessa voce, senza di lei. Un progressivo evolversi di interazioni umane, nel brodo di coltura del suo denaro. I frutti dei rapporti umani di Peggy vengono a maturazione nei posti più disparati:
Nel 1928 a Saint Tropez, sulla Costa Azzurra, finanzia l’anarchica Emma Goldman, che può mettere su carta le sue ponderose memorie, Living My Life, con l’aiuto efficiente e gratuito di Emily Holmes Coleman, una scrittrice e poetessa americana che sarà amica di Peggy per la vita e non per il suo denaro, e nonostante per un certo periodo fossero innamorate dello stesso uomo, John Holms.
Nel 1932/33 a Hayford Hall, una villa di campagna ai bordi del Dartmoor, in Inghilterra, in una piccola colonia di modernisti ospita e sostiene Djuna Barnes che sta scrivendo Nightwood. Anche Nightwood vedrà la luce col valido aiuto di Emily Holmes Coleman. A Hayford Hall Peggy vive il periodo migliore del suo rapporto con John Holms, forse l’uomo più amato, che muore a 37 anni per una anestesia eseguita senza aver notizia del suo alcolismo. Peggy ed Emily avrebbero poi cercato di trascorrere assieme ogni anniversario della morte di Holms.
Nel 1938 a Londra apre la Galleria Guggenheim Jeune, vincendo la stolida opposizione del direttore della Tate Gallery, Mr. Manson che, interpellato dalle autorità doganali in merito alla temporanea importazione di una definita “collezione d’arte”, rifiuta di considerare artistiche le creazioni di Brancusi, Laurens, Arp, Duchamp-Villon, Pevsner e altri. Pare che Mr. Manson oltre alla causa davanti alla Camera dei Comuni perdesse pure il posto. È l’epoca dell’amore di Peggy con Yves Tanguy.
Nel 1941 a Estoril, in Portogallo, raduna un gregge di scrittori e artisti in fuga dal nazismo e li trasporta a New York in volo anziché per mare, segnata com’è dalla fobia per le navi dopo il disastro del Titanic. Nel gruppo c’è il pittore e scultore tedesco Max Ernst, suo amore del tempo, e Laurence Vail, ex marito rimasto in amichevoli rapporti. Giunti in America, Max Ernst diventa il suo secondo marito.
Nel 1942 apre a New York la galleria Art of This Century, lo stesso titolo dato al catalogo della sua collezione di opere surrealiste, cubiste e astratte portate dal Vecchio Continente. La galleria diventa il luogo della fecondazione incrociata tra gli artisti dei due continenti, il centro delle avanguardie. Schiere di nuovi autori vi espongono, a cominciare dall’amatissimo Pollock.
Nel 1948 ha un suo padiglione alla Biennale di Venezia, che riapre dopo la guerra. Con la sua collezione salva la situazione rappresentando anche gli Stati Uniti, che non riescono a far giungere in tempo i quadri da esporre nel padiglione nazionale. Una tragedia viene sfiorata: il libraio Alfieri salva un mobile di Calder smontato che alcuni manovali stavano buttando via, convinti che si trattasse di pezzi di bande metalliche da imballaggio.
Nel 1947 ritorna definitivamente in Europa. L’indecisione su cosa fare della sua collezione, importata temporaneamente in Italia per la Biennale del 1948, si scioglie felicemente con l’opportunità di acquistare il Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, che diventerà il suo museo e la sua vera e ultima casa. Il Palazzo Venier, con un grande giardino indispensabile per i suoi cani, è di faccia alla Casetta Rossa di dannunziana memoria e al palazzo della Prefettura, Ca’ Corner: il palazzo inserito nel verde con la sua incompiuta struttura a un piano, la Casetta Rossa che sembra presa da un paese in terraferma, il possente edificio rinascimentale di Ca’ Corner e il Canale, molto ampio in quel punto, caratterizzano il mondo di Peggy, una Venezia non convenzionale. Come lei.
Il 23 dicembre 1979 Peggy Guggenheim muore sola, all’ospedale di Camposampiero, presso Padova, dove è ricoverata per le conseguenze di una frattura al piede. Il figlio Sindbad è impegnato a mettere al sicuro le opere d’arte conservate nella cantina del Palazzo Venier, minacciate da piogge torrenziali. Pegeen è morta dodici anni prima, forse suicida, dopo una vita passata a combattere la depressione. Le ceneri di Peggy sono sepolte nel giardino di Palazzo Venier, vicino ai suoi cani.
Peggy Guggenheim
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Peggy Guggenheim, Out of This Century, Confessions of an Art Addict, André Deutsch, Londra, 1979
Mary V. Dearborn, Mistress of Modernism, The Life of Peggy Guggenheim, Houghton Mifflin Co., Boston, New York, 2004
Elizabeth Podnieks, Sandra Chait (a cura di), Hayford Hall: Hangovers, Erotics, and Modernist Aestethics, Southern Illinois University Press, Carbondale IL, 2005
Il sito web della Peggy Guggenheim Collection
Il sito del Solomon R. Guggenheim Museum
Piero Ambrogio Pozzi
È nato a Milano nel 1944. Studia letteratura americana del ‘900, dedicandosi ora principalmente alla trascrizione e alla traduzione dell’opera poetica di Emily Holmes Coleman. Di E.H. Coleman ha tradotto il romanzo The Shutter of Snow (Il manto di neve, Robin Edizioni, Roma 2008), la raccolta di scritti La tempesta si avvicina, e tre volumi di versi: Mani quiete, Una via e Da Kansas City, Missouri. Di Ernest Hemingway ha ritradotto Across the River and Into the Trees e The Old Man and the Sea. Ha scritto Il Fiume, la Laguna e l’Isola Lontana, un saggio sulla storia di Ernest Hemingway e Adriana Ivancich. Ha vinto i Premi Città di Forlì 2005 e 2010 per la traduzione di poesia.